Gli stranieri e il lavoro che non c’è. Intervista a Ferruccio Pastore

Intervista a Ferruccio Pastore di Stefano Galieni – pubblicata sul sito uil.it il 30 maggio 2014

D’accordo, c’è la crisi e non riguarda solo l’Italia. Ma la situazione (critica) dei lavoratori immigrati è acuita da fattori che potremmo definire locali. A partire dal carattere low cost della nostra immigrazione. E se il lavoro, da fattore di integrazione, diventa motivo di contesa, il quadro si complica. Ce ne parla Ferruccio Pastore, direttore di FIERI.

Pastore si occupa da almeno due decenni di immigrazione, vanta un elenco vastissimo di pubblicazioni e di collaborazioni, ha seguito buona parte dei processi con cui l’Italia si è confrontata con questo cambiamento strutturale. Da direttore di FIERI ha soprattutto affrontato molte questioni riguardanti le tematiche del lavoro. Gli abbiamo chiesto quanto sia cambiato, negli anni, il mercato del lavoro per le donne e gli uomini migranti. «Troppo poco a mio avviso. Le nicchie economiche che venivano occupate nei primi tempi si sono in parte allargate ma senza produrre reali trasformazioni. I ruoli svolti restano per molti gli stessi. C’è una sorta di soffitto di vetro che blocca la mobilità sociale, come accade – in forme diverse – per altre categorie, vedi i giovani e le donne. L’unica reale novità è intervenuta quando si sono aperti spazi per il lavoro autonomo. Sono venute meno delle clausole di reciprocità fra Stati che di fatto erano barriere insormontabili. Ora, con i recenti provvedimenti di apertura nel pubblico impiego, qualcosa potrebbe cambiare, ma è ancora troppo poco».

Qual è la ragione di questo immobilismo?

«Partirei da un elemento su cui ha molto riflettuto l’economista Claudia Villosio. L’Italia è l’unico Paese in cui crescita economica ed immigrazione non hanno seguito lo stesso trend. Negli altri andava di pari passo, da noi sono stati fenomeni separati. Da una parte una crescita che stagnava già da una parte degli anni Novanta fino ai primi del Duemila, prima insomma della crisi conclamata. Contemporaneamente l’immigrazione cresceva in maniera esponenziale, come in nessun altro Paese europeo. Una crescita che è risultata come una determinante più in senso demografico che economico. Una sorta di controtendenza che però è dovuta a cause precise».

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