La proposta della Commissione Europea per la relocation: punto di svolta o compromesso al ribasso?

Di Ester Salis, 1 Giugno 2015

Il 27 Maggio la Commissione Europea ha presentato la proposta di decisione 1 in cui si dettagliano le misure previste per la messa in atto del programma di redistribuzione (in inglese relocation 2), inizialmente abbozzato nell’Agenda per l’Immigrazione presentata il 13 maggio. La proposta sarà discussa nel prossimo Consiglio Europeo su Affari Interni previsto per il 15 Giugno ed eventualmente approvata con un voto a maggioranza qualificata durante il Consiglio Europeo del 25 Giugno. Da dove nasce e che cosa prevede questa proposta?

Il contesto: tra appelli alla solidarietà e richiami alla responsabilità.

Come accennato, il programma di redistribuzione è stato per la prima volta proposto all’interno dell’Agenda Europea adottata dalla Commissione il 13 maggio scorso, sull’onda delle risposte di emergenza al naufragio del 19 aprile scorso,3 dove morirono diverse centinaia di persone dirette in Italia (il numero resta ancora drammaticamente incerto, tra le 700 e le 900 persone). La gravità di quei fatti – perché purtroppo di eccezionalità non possiamo più parlare – ha dunque spinto la Commissione Europea a presentare proposte considerate finora impraticabili per fare fronte ai massicci afflussi di persone che in questo momento stanno fuggendo, non solo via mare, dai molteplici focolai di conflitto che circondano l’Europa.

In particolare, ha fornito una prima risposta alle richieste da tempo avanzate dai diversi governi italiani succedutisi negli ultimi anni per una migliore e più equa distribuzione dell’onere di accoglienza verso queste persone, 4 sulla base del principio di solidarietà ed equa distribuzione delle responsabilità affermato nell’art. 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Finora gli appelli italiani erano rimasti inascoltati dai principali leader degli altri paesi, che hanno continuato a ribadire la necessità di applicare le norme del regolamento di Dublino 5 che impongono al primo paese di approdo – in questi anni sempre più spesso Italia e Grecia – la responsabilità di ricevere e esaminare le domande di protezione internazionale. Le reticenze dei partner europei ad accogliere gli appelli italiani nascevano anche – ma non solamente – dal fatto che l’Italia non si è dimostrata sufficientemente solerte nell’identificare e accogliere le persone approdate sul proprio territorio: per lungo tempo le autorità italiane hanno chiuso più di un occhio rispetto ai movimenti di persone che dai centri di prima accoglienza italiani si allontanavano liberamente in direzione delle mete europee più desiderabili per loro (Germania e Svezia in primo luogo). In assenza di una tempestiva identificazione, queste persone potevano facilmente salire su un treno (o pagare viaggi in taxi più o meno legali a prezzi esorbitanti 6), raggiungere i propri parenti o conoscenti in Europa del nord e presentare lì la domanda di protezione internazionale. Sebbene questa situazione appaia sostanzialmente cambiata in seguito alla circolare diramata dal ministro Alfano nel settembre 2014, 7 l’affidabilità italiana è stata seriamente messa in dubbio.

Visto questo scenario, la proposta avanzata dalla Commissione Europea qualche giorno fa suona effettivamente come un cambio radicale di rotta in direzione di una più equa distribuzione delle responsabilità e condivisione della solidarietà in materia di accoglienza e protezione internazionale tra gli stati europei, come lungamente caldeggiato dall’Italia. Ma è davvero così? E quali saranno le conseguenze possibili per l’Italia in caso di adozione di queste norme? Cosa comporterebbero per la vita delle persone eventualmente ‘riallocate’? Vediamo innanzitutto cosa prevedono queste nuove norme.

La proposta: il sistema delle quote e la contropartita degli hotspots

La Commissione Europea propone oggi di ridistribuire in altri stati europei 40.000 persone che arriveranno in Italia e in Grecia nei prossimi due anni – in particolare 24.000 dall’Italia e 16.000 dalla Grecia – in deroga alle norme generali del regolamento di Dublino. Solamente persone di nazionalità siriana ed eritrea potranno essere ammesse nel programma di redistribuzione. 8 Per tutti gli altri, restano valide le norme di Dublino III, ovvero dovranno presentare domanda di protezione in Italia o in Grecia in quanto paesi di primo ingresso.

La redistribuzione si dovrebbe svolgere sulla base di quote nazionali, stabilite sulla base di quattro parametri: popolazione, PIL, tasso di disoccupazione e numero medio di domande d’asilo ricevute nel periodo 2010-2014. Come risultato di questi calcoli, la Germania dovrà accogliere 8.763 persone, la Francia 6.752, la Spagna 4.288 e così via a scalare nei diversi paesi europei, ad eccezione di Danimarca, Regno Unito e Irlanda che hanno fatto valere le clausole di opt-out negoziate negli anni passati.9

La contropartita richiesta a Italia e Grecia è però assai sostanziosa: in primo luogo, si impone che si mettano in piedi sui loro territori dei cosiddetti Hotspots, ovvero centri di raccolta e identificazione dei migranti in arrivo, dove le autorità di polizia italiane (e greche) saranno affiancate da funzionari delle agenzie europee per l’asilo e il controllo delle frontiere (rispettivamente EASO e FRONTEX) nelle operazioni di identificazione e foto-segnalamento. In secondo luogo, Italia e Grecia si dovranno impegnare a redigere, nel giro di un mese dall’approvazione delle nuove norme, una road-map con le misure concrete da attuare per migliorare e rendere più efficaci le proprie azioni di identificazione, accoglienza e eventuale rimpatrio dei non meritevoli di protezione internazionale, pena la decadenza dall’accordo con gli altri paesi.

Costi e benefici della solidarietà

Ad una prima lettura questa proposta sembra finalmente aprire una breccia nelle strettissime maglie imposte dal regolamento di Dublino, rispondendo alle ripetute richieste italiane di aiuto nella gestione dell’afflusso imponente di persone in cerca di protezione. Ma una lettura più attenta, fatta a mente fredda e con calcolatrice alla mano, fa emergere una prospettiva molto diversa.

Da una parte si “allevia” il sistema di accoglienza italiano di 12.000 persone l’anno, esclusivamente siriani ed eritrei. Non molte in termini assoluti e molto poche in termini relativi: gli arrivi in Italia quest’anno supereranno plausibilmente il record dell’anno precedente che vide oltre 170.000 arrivi via mare (e 64.625 domande d’asilo). Supponendo per ipotesi un numero di 200.000 nuovi arrivi nel 2015 (stima per difetto, realisticamente), significa che 188.000 dovrebbero restare qui, essere accolte qualora presentassero domanda di protezione internazionale o eventualmente rimpatriate se non fossero ritenute meritevoli di tale protezione (con tutte le difficoltà delle procedure di rimpatrio, a cui si collega il loro basso tasso di successo).

Dall’altra parte, la proposta della Commissione impone, attraverso la richiesta di una road map e la creazione degli hotspots, il definitivo abbandono della prassi di identificazioni carenti e approssimative, che ha di fatto permesso negli anni scorsi di drenare il bacino totale di persone da accogliere. Se tutto questo si realizzerà davvero, l’Italia si troverà a dover garantire l’accoglienza (o eventualmente gestire il rimpatrio) di un numero considerevolmente più alto di persone di quello gestito finora (i 188.000 di cui sopra). Con gli altri stati che si troveranno a gestire poche migliaia di persone dall’Italia (e dalla Grecia) e vedranno diminuire i numeri di domande d’asilo presentate da persone transitate (e non identificate) dall’Italia.

Dove starebbe quindi la convenienza per l’Italia? Per aggiustare, almeno parzialmente, queste distorsioni negli oneri rispettivi, sarebbe forse più equo e corretto prevedere una cifra non fissa ma variabile di persone da ricollocare. Ovvero: vista anche l’imprevedibilità del numero degli arrivi, sarebbe più conveniente per l’Italia e la Grecia che non solo 20.000 persone l’anno una tantum ma una percentuale stabilita dei nuovi arrivi venga ridistribuita tra gli altri paesi membri. Anche mantenendo il criterio delle nazionalità con il 75% di domande accolte, ovvero siriani e eritrei, almeno per il momento. Verosimilmente, una proposta di questo tipo sarebbe politicamente ancor meno ricevibile dai partner, viste le già numerose voci critiche levatesi negli ultimi giorni dai diversi governi, tra cui quello francese, spagnolo e ungherese. 10 Però sarebbe almeno necessario dirsi che rischiamo di trovarci con un problema ancora maggiore di quello che tentiamo di risolvere.

I rischi per i diritti individuali dei richiedenti asilo

Abbandonando per ora la prospettiva degli interessi nazionali coinvolti, questa proposta è certamente discutibile anche quando si guardi agli interessi e ai diritti delle singole persone e famiglie coinvolte nel processo di redistribuzione. Allo stato attuale, poco o nulla si dice rispetto ai criteri più “qualitativi” che orienteranno e guideranno le scelte sulla redistribuzione. Per intenderci, non sembra abbastanza chiaro come si deciderà chi va dove.

È esplicitato che la decisione sarà presa dalle autorità italiane e greche, in accordo e collaborazione con gli stati di ricollocazione, attraverso dei liaison officers nominati dagli altri stati; che la priorità sarà data alle categorie vulnerabili;11 che sarà garantito il diritto all’unità familiare e quindi i membri di una stessa famiglia (intesi in senso restrittivo, sulla base delle norme di Dublino III, come genitori e figli) saranno ricollocati insieme in uno stesso paese; che per le categorie più vulnerabili si dovrà tenere conto delle effettive capacità di accoglienza del paese di destinazione della relocation.

Posto tutto ciò, i criteri che concretamente e operativamente guideranno le scelte restano ancora piuttosto oscuri: saranno forse affidati al caso, all’ordine cronologico di arrivo, o alla discrezionalità dei funzionari addetti alle procedure? Non ci si aspetta forse che si entri in una profondità di dettaglio su queste scelte cruciali in questo documento, ma sarebbe quantomeno necessario menzionare i criteri generali che dovranno guidare la scelta, al di là delle mere quantità. E’ invece molto chiaro che il singolo migrante non avrà in prima battuta voce in capitolo nella scelta, ma soltanto un diritto di ricorso contro la decisione nel caso questa porti a serie violazioni dei suoi diritti fondamentali. 12 Senza arrivare a pretendere una piena e vincolante considerazione della volontà della persona destinata al trasferimento, sarebbe almeno auspicabile un suo consenso al trasferimento. Nell’interesse di una migliore integrazione successiva, sarebbe inoltre ragionevole allargare la definizione dei membri della famiglia da ricollocare congiuntamente alla categoria dei parenti (ovvero zii e nonni, v. art. 2, lett. h Regol. 604/2013, a cui noi aggiungeremmo fratelli, anche adulti), finora esclusi. In mancanza di una tale specificazione, dovremo prepararci a dar conto di casi come, ad esempio, quello di due fratelli siriani adulti, partiti e arrivati insieme dalla Libia o dalla Turchia e separati per essere mandati uno in Bulgaria e l’altro in Spagna.

I diritti e la dignità delle persone coinvolte in questo programma di redistribuzione potrebbero anche, e comunque, essere messi in pericolo dalle condizioni di accoglienza che troverebbero in molti degli stati che dovrebbero prossimamente accoglierli. Se certo le condizioni di accoglienza in Italia e in Grecia non sono ottimali, sappiamo però bene che anche molti degli altri stati membri non hanno ad oggi sistemi adeguati di accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. Tanto più se i target specifici delle misure di ricollocazione dovranno essere le categorie più vulnerabili di richiedenti asilo. La semplice trasposizione delle normative europee in materia che fissano standard minimi rispetto all’accoglienza e alle procedure del riconoscimento, 13 non è una condizione sufficiente: sappiamo bene che dalla lettera della norma all’operatività dell’applicazione le cose cambiano sostanzialmente. E difficilmente questi paesi potranno mettere in piedi dei sistemi adeguati nei pochi mesi di applicazione del programma e con le sole risorse finanziarie messe a disposizione (ricordiamo: 6.000 euro a persona ricollocata). Se, giustamente, la Commissione chiede a Italia e Grecia una road map per l’applicazione efficace delle norme europee in materia d’asilo, sarebbe allora forse saggio e auspicabile chiedere un simile sforzo anche a quegli stati che dovranno accogliere queste persone affinché dimostrino di avere le capacità e le risorse necessarie per farlo. Se non nell’interesse primario delle persone coinvolte, già fortemente gravate dalla loro situazione di esilio e dai traumi subiti, una tale misura sarebbe anche nell’interesse degli altri stati membri. A margine di questo discorso ricordiamo infatti che già oggi alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea impedirebbero il trasferimento dei cosiddetti “dublinanti” verso la Grecia poiché quest’ultima non garantisce condizioni di accoglienza dignitose per la persona. 14 In uno scenario non troppo improbabile, molte delle persone trasferite attraverso questo programma, sebbene scoraggiate dal farlo, potranno comunque scegliere di continuare a muoversi verso le mete da loro più ambite, anche solo per raggiungere le proprie comunità di connazionali più numerose in altri paesi. E nuove sentenze dei tribunali nazionali o delle corti europee potrebbero impedire che esse venissero riportate nei paesi dove sono state originariamente ricollocate per le stesse ragioni oggi valide per la Grecia.

Molte di queste considerazioni potrebbero perdere ogni validità o rilevanza dopo il Consiglio Affari Interni del 15 giugno prossimo. Le posizioni critiche da parte dei partner europei si sono già levate e la richiesta di modifica sostanziale della proposta è stata avanzata da più parti. 15 Ma in preparazione dell’acceso dibattito che in quella sede si svolgerà, è bene che le implicazioni evidenti, e soprattutto quelle meno evidenti, siano ben considerate dalle autorità italiane e da tutte le altre parti coinvolte, governative e non. Nonostante possano apparire come questioni secondarie rispetto a più importanti dossier in materia economica, finanziaria e geo-politica, le politiche di gestione dell’immigrazione (in tutte le sue componenti) sono infatti al cuore dell’integrazione politica e economica europea. E il rischio che ne minino la sostenibilità non è poi così remoto.


1 Il testo originale della Proposta è consultabile, insieme al comunicato stampa di presentazione, al seguente indirizzo web: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5039_en.htm .

2 L’azione di redistribuzione interna allo spazio europeo, o relocation, che nella proposta della Commissione si configura come obbligatoria per gli Stati membri, è da tenersi distinta dall’azione di resettlement che invece nell’Agenda del 13 maggio si presenta come volontaria, sulla base delle disponibilità dei singoli stati. Il resettlement si configura essenzialmente come un redistribuzione di persone meritevoli di protezione internazionale che si trovano nei campi profughi dei paesi limitrofi alle aree di conflitto. La Commissione ha fissato un target di circa 20.000 persone da trasferire verso gli stati europei che aderiranno all’iniziativa.

3 Si vedano in particolare le Conclusioni della Riunione straordinaria del Consiglio europeo del 23 aprile 2015 e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 29 Aprile.

4 Appelli alla solidarietà nella gestione dell’accoglienza erano per esempio stati portati avanti già dal Ministro Maroni nell’ultimo governo Berlusconi: v. Caizzi, I., L’ Europa dice no alla proposta italiana «Non ci faremo carico dei clandestini», Corriere della Sera, 12 Aprile 2011 o, più recentemente, dal ministro Alfano: Allarme sbarchi, 4000 migranti soccorsi in quarantotto ore”, La Stampa, 9 Aprile 2014.

5 Regolamento (UE) N. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione): http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32013R0604

8 Queste due nazionalità sono infatti quelle che nel corso degli ultimi anni hanno conosciuto un tasso di riconoscimento delle domande di protezione internazionale superiore al 75%. Questo tutela dunque gli stati dove queste persone verranno accolte dal rischio di dover poi gestire il rimpatrio (o il soggiorno irregolare) di persone che si vedono respingere la richiesta di protezione internazionale.

9 La Danimarca, il Regno Unito e l’Irlanda hanno infatti scelto di non aderire al programma obbligatorio di relocation sulla base delle clausole di opt-out previste dai Trattati europei. Mentre la Danimarca non partecipa alle politiche in materia di immigrazione e asilo dell’UE avendo espresso un opt-out pieno e permanente, Regno Unito e Irlanda hanno la facoltà di decidere di volta in volta se applicare o meno determinate misure e decisioni in materia di immigrazione e asilo, esprimendo un opt-out o un opt-in.

11 Essenzialmente, in base alle direttive europee, minori non accompagnati, genitori single con figli minori, vittime di abusi e torture, etc.

12 Si veda meglio il il punto 28 delle premesse al documento: “Considering that an applicant does not have the right under EU law to choose the Member State responsible for his/her application, the applicant should have the right to an effective remedy against the relocation decision in line with Regulation (EU) No 604/2013, only in view of ensuring respect of his/her fundamental rights.”

13 Si vedano in particolare la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale; la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale; e la direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

15 Da ultimo, si segnala la posizione congiunta franco-tedesca emersa dall’incontro tra Angela Merkel e François Hollande del 1° Giugno: https://euobserver.com/justice/128913

* Ringrazio in particolare i colleghi Irene Ponzo, Giovanna Zincone, Emanuela Roman e Ferruccio Pastore per il confronto di idee e i preziosi commenti su versioni preliminari di questo documento.
Immagine:”Didattica migranti” by AsinitasOwn work. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.