di Pietro Cingolani – Ricercatore FIERI
Uno dei tanti risvolti della crisi sanitaria in corso è stato il blocco della mobilità intra-europea unito alla drammatica contrazione del mercato del lavoro. I costi per gli individui, per i gruppi famigliari e per intere comunità sono stati e continueranno a essere altissimi. Il caso dei migranti romeni appare emblematico e la situazione attuale sta rivelando criticità mai risolte, tanto nei contesti di partenza, quanto in quelli d’arrivo. Adottando una lente d’analisi transnazionale si può comprendere la reale portata dei processi in atto.
Nei Paesi d’insediamento dell’Europa occidentale i migranti romeni sono stati tra i primi a essere colpiti dalle restrizioni legate alla pandemia. Molti sono rimasti senza occupazione e senza possibilità di accedere alle garanzie sociali previste per altri lavoratori. Consideriamo l’Italia, dove i cittadini romeni sono più di un milione. Molti dei lavoratori occupati in agricoltura, per esempio, non hanno potuto accedere al bonus dei 600 euro previsto dal decreto Cura Italia, non avendo raggiunto il minimo di 50 giornate di attività nel 2019 (articolo 30 DL 18/2020). In buona parte, questi lavoratori hanno effettivamente lavorato per un periodo pari o superiore ma non lo hanno visto riconosciuto in busta paga, rimanendo esclusi da questa misura eccezionale di supporto al reddito. Gravi difficoltà sono state vissute anche dalle tanti assistenti famigliari e collaboratrici domestiche romene rimaste improvvisamente senza lavoro e senza alcuna protezione sociale, non essendo tutelate da contratti regolari.
Di fronte al deteriorarsi della situazione economica e alla mancanza di prospettive, moltissimi migranti hanno scelto la via del ritorno verso le località d’origine, almeno fino a quando è stato possibile. Secondo una recente dichiarazione del primo ministro romeno Ludovic Orban dalla fine di febbraio all’inizio di maggio sono rientrati 1.279.000 concittadini; il governo stima che circa 350.000 persone si metteranno alla ricerca di un posto di lavoro in Romania non prevedendo, almeno nel breve periodo, una nuova partenza verso l’estero. La Romania non è tuttavia in grado di offrire risposte soddisfacenti alle richieste di tutti questi cittadini, né dal punto di vista lavorativo, né da quello delle garanzie di welfare. Le stesse strutture sanitarie si sono mostrate totalmente inadeguate a fronteggiare l’emergenza e proprio gli ospedali pubblici hanno rappresentato i focolai dai quali si sono diffusi i contagi nel resto del Paese. Questi ospedali si trovano nelle zone con i tassi più alti di emigrazione, come per esempio la regione di Suceava, e l’opinione pubblica ha ricondotto il diffondersi del virus proprio al ritorno degli emigrati infetti, soprattutto dall’Italia.
Per fronteggiare la crisi il governo romeno ha dichiarato il 16 marzo lo stato di emergenza di un mese, misura in seguito prolungata fino al 15 maggio. Sono seguite diverse ordinanze militari che hanno colpito tanto le persone in entrata, quanto quelle in uscita dal Paese. Sono stati sospesi i voli di linea da e verso i Paesi europei inseriti nella lista rossa, tutti con importanti presenze di emigrati romeni (Spagna, Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera, Gran Bretagna e Paesi Bassi). L’ordinanza militare numero 3 del 24 marzo 2020 ha disposto per tutte le persone provenienti da zone rosse la quarantena obbligatoria di 14 giorni, e l’autoisolamento volontario per quelle provenienti da zone gialle.
I migranti di ritorno sono stati fortemente stigmatizzati dai media e dall’opinione pubblica, venendo rappresentati come una minaccia per la sicurezza nazionale. Irresponsabili, privi di rispetto nei confronti delle loro comunità, traditori di un implicito patto sociale. Queste rappresentazioni non sono nuove e attualizzano divisioni sociali antiche tra migranti e non migranti, da sempre alimentate dalle posizioni ambivalenti delle istituzioni. In più di una località romena gli amministratori comunali hanno pubblicamente diffidato i migranti di ritorno dal richiedere sussidi pubblici, in quanto privi dei requisiti necessari. Questi messaggi sono stati indirizzati in particolare alla popolazione rom rientrata in questi due mesi e da sempre accusata di parassitismo sociale. Al vecchio adagio “tornate al vostro Paese” sentito nei Paesi d’immigrazione fa oggi da contrappunto il “rimanetevene all’estero” .
Il rischio di assistere all’intensificarsi delle tensioni sociali è tale da aver spinto il capo missione dell’OIM nella confinante Moldavia a lanciare l’allarme. Gli atti di ostilità verso i migranti di ritorno sono diffusi e rafforzati da misure di discriminazione istituzionale quale per esempio l’obbligo di acquisto, entro 72 ore dal rientro in Moldavia, di un’assicurazione sanitaria privata per il 2020.
I discorsi dominanti e le rappresentazioni simboliche che riguardano la diaspora, come già evidenziato altrove (Cingolani 2016), sono tutt’altro che lineari e coerenti. Da un lato si denunciano gli emigrati poveri, inutili e visti come una minaccia incombente sui servizi pubblici, dall’altro si dichiara l’importanza del contributo degli emigrati altamente qualificati per i quali le istituzioni auspicano un ritorno nel più breve tempo possibile (OECD 2019).
In questo quadro di sospensione del diritto alla mobilità, al lavoro e alla sicurezza sociale si collocano non solo gli emigrati di ritorno ma anche i cittadini extra-UE che in misura sempre più consistente sono impiegati nel mercato del lavoro romeno. Negli ultimi due mesi si sono moltiplicate le segnalazioni di gravi violazioni dei loro diritti. L’ultimo episodio ha riguardato cittadini srilankesi impiegati in una fabbrica tessile di proprietà italiana, nella città di Botosani. Dopo la scoperta di un caso infetto in azienda i lavoratori, reclutati attraverso agenzie di intermediazione, hanno chiesto alla direzione la quarantena a scopo precauzionale. In risposta hanno ottenuto il licenziamento immediato. Questi lavoratori sono stati abbandonati a se stessi, senza supporto alcuno dai datori di lavoro, dalle autorità pubbliche romene, né tantomeno dalle autorità consolari del proprio Paese.
La crisi ha rivelato uno stato d’eccezione in cui i migranti sono spogliati di diritti e ridotti esclusivamente a forza lavoro in balia dei bisogni del mercato. La stessa ordinanza militare che ha bloccato i regolari collegamenti internazionali, impedendo persino il ritorno in Sri Lanka ai lavoratori licenziati, ha permesso di lasciare la Romania a gruppi di lavoratori stagionali selezionati e approvati da alcuni Paesi europei. Le notizie di persone assembrate negli aeroporti per raccogliere asparagi e fragole in Germania o Gran Bretagna hanno affollato i media romeni e internazionali. Al loro arrivo si sono confrontati con situazioni spesso complesse e poco protette, tanto che alcuni di questi stagionali hanno contratto il virus sui luoghi di lavoro, mancando adeguate forme di monitoraggio sia alla partenza che all’arrivo.
Riprendendo la classica definizione di Sayad di “doppia assenza” (Sayad 2002), si può affermare come la presente pandemia abbia fatto drammaticamente emergere una condizione di tripla assenza per i migranti. Non riconosciuti dalle comunità nazionali di partenza, non riconosciuti dalla comunità di insediamento e nuovamente rifiutati dalle comunità di partenza nelle quali i migranti si trovano oggi costretti a rientrare.
Si può intravedere in questa crisi una spinta ad una riforma radicale delle politiche migratorie comunitarie e dei sistemi nazionali di protezione sociale, in un’ottica di redistribuzione a favore delle fasce più fragili e svantaggiate? I fatti, ad oggi, hanno purtroppo smentito queste previsioni anche se dal passato possiamo imparare come da crisi politiche ed economiche di grande portata posso maturare miglioramenti sul piano dei diritti sociali.
Cingolani, P. (2016), “Il paese delle ciambelle”. Un secolo e mezzo di pratiche e immagini della mobilità in Romania, Studi Emigrazione – International Journal of Migration Studies, vol. 53, n. 201, pp. 135-149
OECD (2019), Talent Abroad: A Review of Romanian Emigrants, OECD Publishing, Paris ( https://doi.org/10.1787/bac53150-en)
Sayad, A. (2002). La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano.