di Lorenzo Piccoli, Università di Neuchâtel (Svizzera)
In periodi di grande incertezza, governi e cittadini tendono a fare grande affidamento sugli scienziati, che si trovano così a orientare risposte politiche a problemi nuovi per i quali non esistono ancora ricette efficaci.
Nel contesto straordinario della pandemia COVID-19, gli esperti scientifici sono stati catapultati nel cuore del processo decisionale della politica. In Italia, ad esempio, a partire da aprile il governo ha impostato una collaborazione stabile con esperti in epidemiologia, virologia, sanità pubblica e scienze mediche. Oltre a orientare le scelte del governo, i ricercatori medici sono stati coinvolti nella comunicazione ufficiale, ad esempio tramite i bollettini quotidiani della Protezione Civile sulla situazione dei contagi. Non si tratta di un fenomeno solamente italiano: pensiamo, ad esempio, alla mediatizzazione di Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale di Allergie e Malattie Infettive e membro della task force straordinaria creata dalla Casa Bianca.
Per chi si occupa di migrazione e cittadinanza, è dunque importante chiedersi se e in che modo gli scienziati abbiano contribuito all’introduzione delle straordinarie restrizioni del movimento introdotte per fare fronte alla pandemia. Ad oggi, oltre 180 paesi al mondo hanno chiuso i confini alla mobilità internazionale; e quasi tutti hanno limitato il movimento all’interno delle frontiere riducendo, seppur in misura diversa, tutti gli spostamenti considerati non essenziali. Quali e quante di queste decisioni sono state il risultato di una precedente consultazione con gli esperti scientifici?
Gli esperti scientifici e l’invenzione del lockdown
Gli scienziati hanno giocato un ruolo fondamentale nell’introdurre il lockdown in tanti Paesi. In Italia come negli Stati Uniti, sono stati ricercatori medici a introdurre nel linguaggio politico termini quali ‘distanziamento sociale’ e ‘appiattire la curva’. Inoltre, tra marzo e aprile, i pareri degli scienziati sono stati usati nella maggior parte dei Paesi europei per giustificare le chiusure delle attività economiche e il divieto di circolare liberamente. Difendendo la scelta di confinare gli abitanti a casa, ad esempio, il presidente Macron ha citato il parere degli esperti scientifici ben cinque volte nel suo discorso alla nazione del 16 marzo. Si potrebbe quasi dire che nella primavera del 2020 “ce lo chiedono gli esperti” sia diventato il nuovo mantra dei governi europei.
Ci sono due eccezioni. La prima è il Regno Unito, dove gli esperti avevano inizialmente spinto il governo a perseguire la strategia dell’immunità di massa, evitando ogni tipo di restrizione alla mobilità. Gli stessi esperti hanno però cambiato opinione dopo aver visto, il 16 marzo, le simulazioni prodotte da alcuni ricercatori dell’Imperial College di Londra. Pochi giorni dopo (23 marzo) anche il governo ha repentinamente cambiato rotta, introducendo un lockdown molto rigido.
La seconda eccezione è la Svezia, una sorta di outsider globale. Unico Paese in Europa a non aver adottato un lockdown, qui gli esperti scelti dal governo si sono schierati a favore della decisione di non restringere la libertà di movimento. Non tutti gli esperti erano d’accordo: 22 scienziati, ad esempio, hanno firmato un appello pubblico chiedendo al governo di introdurre restrizioni alla mobilità. Non si trattava però di quelli scelti come consulenti dal governo.
A seconda delle opinioni degli esperti consultati, i governi europei hanno dunque fatto scelte diverse nella tempistica e nella natura delle restrizioni alla mobilità interna. Nonostante queste differenze, tutti i governi hanno fatto grande affidamento sulla comunità scientifica, sia al momento di decidere, sia al momento di giustificare l’adozione di queste misure restrittive.
La scomparsa degli esperti scientifici sulle frontiere internazionali
Non è chiaro, invece, se gli esperti scientifici siano stati coinvolti nella chiusura dei confini nazionali. A differenza della letteratura sull’efficacia del distanziamento sociale nel limitare la diffusione di un virus, le ricerche condotte su Ebola, MERS e SARS mostrano che la chiusura delle frontiere non provoca alcun beneficio nel contenimento di pandemie globali. Tali risultati sono stati confermati da studi preliminari sulla diffusione del COVID-19, che mostrano come le restrizioni alla mobilità internazionali abbiano effetti “modesti” e rappresentino una misura “insufficiente per contenere la diffusione globale del virus”. Anzi, chiudere i confini può creare gravi problemi, complicando ad esempio la circolazione di operatori e beni sanitari (quali, ad esempio, mascherine e ventilatori) e favorendo la diffusione del contagio tramite il ritorno precipitoso dei cittadini in patria.
Forse consigliato dai propri esperti, a marzo il Ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha affermato che “la chiusura dei confini non è giustificata da motivi scientifici”. Anche il Ministro alla Salute canadese, Patty Hajdu, nello stesso periodo sosteneva che “le misure alle frontiere sono altamente inefficaci e, in alcuni casi, possono creare danni”. Già alla fine di marzo, tuttavia, quasi tutti i governi al mondo, compresi quello francese e canadese, hanno chiuso le frontiere in maniera repentina e non coordinata.
Non sappiamo se scienziati e ricercatori siano stati consultati prima di introdurre queste restrizioni. Certamente però, a differenza di quanto fatto per spiegare le restrizioni alla mobilità interna, i governi non hanno invocato alcuna evidenza scientifica per giustificare in pubblico la restrizione alla mobilità internazionale.
L’eccezione è, anche in questo caso, la Svezia. Anders Tegnell, a capo del comitato scientifico indipendente con cui il governo si consulta quotidianamente, ha spiegato che introdurre controlli alle frontiere “sarebbe ridicolo, dal momento che il COVID-19 è già in tutti i Paesi europei”. Il governo svedese, fino ad ora, ha seguito tale raccomandazione e ha mantenuto aperto il Paese alla circolazione intra-europea.
Il delicato rapporto tra esperti scientifici e politica
La pandemia COVID-19 ha riportato in auge l’idea che alla base di decisioni politiche nell’interesse pubblico ci debbano essere rigore e dati scientifici. Per fare fronte a un’inedita emergenza sanitaria, i governi europei hanno messo esperti scientifici al centro del processo decisionale. Guardando alle restrizioni della mobilità, è possibile azzardare tre osservazioni preliminari in attesa di studi più approfonditi.
In primo luogo, la decisione di rivolgersi ad alcuni esperti anziché altri ha orientato le scelte politiche verso direzioni diverse. La scienza non rappresenta un blocco uniforme: i ricercatori condividono obiettivi, vocabolari e orientamenti metodologici, ma non sono necessariamente d’accordo su tutto. Inoltre, il lavoro fatto da esperti in salute pubblica tiene conto di indicatori diversi da quelli di economisti e sociologi. Il profilo degli esperti scientifici su cui i governi hanno fatto affidamento nel contesto della pandemia COVID-19 è decisamente sbilanciato verso il sesso maschile e le discipline mediche.
Sensibilità e preferenze diverse hanno contribuito a decisioni diverse in materia di lockdown. In Italia, le regioni hanno adottato approcci diversi, ad esempio in materia di eccezioni al lockdown e date di chiusura dei propri confini regionali, anche sulla base di un diverso orientamento dei rispettivi esperti e comitati scientifici regionali. In alcuni casi possiamo immaginare che i governi scelgano gli esperti in linea con le loro preferenze politiche. Si potrebbe forse parafrasare un famoso sketch di Corrado Guzzanti: se l’operato dei governi non rappresenta più i pareri scientifici, cambiamoli questi benedetti pareri scientifici.
L’ultima osservazione riguarda l’asimmetria tra decisioni in materia di mobilità interna e internazionale. Gli esperti, e i dati da loro prodotti, hanno svolto un ruolo molto importante nell’adozione e nella giustificazione di restrizioni alla mobilità interna e ai contatti interpersonali; ma quando i governi hanno deciso di chiudere le frontiere lo hanno fatto senza invocare evidenza scientifica a supporto di tali decisioni.
Conclusione
La pandemia COVID-19, oltre a essere un’emergenza sanitaria, è un evento che va compreso nelle sue traiettorie e ramificazioni sociali e politiche. A fronte della grande dipendenza sviluppata dai governi nei confronti delle competenze di esperti scientifici, sappiamo ancora troppo poco sul ruolo che questi ultimi hanno avuto nell’adozione delle politiche che hanno radicalmente limitato la mobilità interna e internazionale. Non si tratta di una novità: la partecipazione degli esperti nei processi decisionali della politica non è quasi mai oggetto di dibattito pubblico. Forse questa è l’occasione per discutere più a fondo un argomento centrale per il funzionamento e la rappresentatività dei sistemi politici democratici.
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