Crossover identitari: le seconde generazioni LGBT si raccontano nello spazio pubblico

Indagare le identità, le testimonianze e le necessità delle seconde generazioni LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) in Italia, per comprendere meglio un binomio molto poco studiato: come vivono la doppia condizione di minoranza, quali aspettative hanno e come interagiscono con le rispettive comunità di appartenenza i giovani e le giovani LGBT di origine immigrata? E ancora, quali canali comunicativi e quali servizi si possono predisporre per accogliere e confrontarsi con il loro portato identitario?

Da qualche mese è attivo un progetto di ricerca  – probabilmente il primo in questo campo – che punta a studiare e raccontare il fenomeno. Abbiamo intervistato Massimo Modesti e Medhin Paolos che fanno parte dello staff del progetto di ricerca “Seconde generazioni LGBT”, insieme ad Helen Ibry e Antonia Monopoli.

La vostra ricerca si rivolge alle “seconde generazioni LGBT”: che tipo di ritratto potremmo tracciare di questa (o queste?) realtà in Italia, oggi?

Nell’arco di un anno abbiamo raccolto le narrazioni di circa 30 ragazzi e ragazze LGBT di seconda generazione, più o meno ampie a seconda che abbiano partecipato a tutti gli incontri, a qualcuno o solamente a uno di essi. Non si tratta di un campione rappresentativo, ma di un gruppo auto-selezionato che ha risposto ad un invito a confrontarsi con altri/e partecipanti con percorsi simili al proprio.

Mi sento quindi di dire che, per costoro, la nostra proposta ha intercettato un desiderio che probabilmente avevano già: quello di raccontarsi e/o di ascoltare storie di vita di altri/e ragazzi/e LGBT di seconda generazione in una situazione “pubblica” (per quanto riservata a loro), di rispecchiarsi e confrontarsi sui propri percorsi, di ritrovare un pezzo di sé negli/nelle altri/e e di dare voce alla propria esperienza di giovani che sono “doppiamente” minoranza.

Nonostante le famiglie di questi/e giovani provengano da contesti nazionali (Perù, Cina, Ecuador, Bolivia, Kosovo, Brasile, Filippine, Vietnam), regionali ed etnici molto diversi tra loro, e alcuni di essi abbiano fatto ricongiungimento durante l’adolescenza, esistono nei loro modi di esprimersi tratti comuni che derivano da un fenomeno di assimilazione dal basso creato dalle culture giovanili e dalla frequentazione di contesti sociali e virtuali comuni.

Il medesimo discorso vale anche per i modelli di riferimento in quanto lesbiche, gay, bisessuali e transgender, in quanto il percorso di auto-rappresentazione e di socializzazione della propria identità LGBT è avvenuto per tutti/e in Italia. Tuttavia, se andiamo oltre la superficie, scopriamo percorsi e storie originali in quanto a rapporto con: la famiglia (genitori, nonni, fratelli e sorelle, cugini/e, zii/e), sia quella prossima che con i membri che vivono lontano; amici e amiche sia italiani che appartenenti alle reti etniche nazionali o di seconda generazione come loro; la scuola e l’ambiente di lavoro; le persone incontrate nei luoghi pubblici; il proprio corpo e la propria immagine di sé; i/le partner sentimentali; i luoghi a frequentazione LGBT (reali e virtuali).

In che cosa consiste il vostro progetto e quali aspetti del connubio Seconde generazioni/LGBT volete approfondire?

Non ci risulta che nessuno abbia mai esplorato prima d’ora questo campo in Italia. Una ricerca di Arcigay pubblicata nel 2008 ha sfiorato il fenomeno delle seconde generazioni senza approfondirlo perchè il cuore dello studio riguardava i migranti LGBT. Inizialmente quindi il nostro progetto mirava ad intercettare ragazzi e ragazze che avessero voglia di mettere in comune i loro racconti.

I percorsi tramite i quali li abbiamo incontrati sono stati vari: conoscenze personali, siti internet dedicati a gay/lesbiche, amicizie già instaurate da tempo, servizi o associazioni in cui eravamo impegnati/e. Tra più di cento contatti raccolti nel corso dei mesi, circa un quarto ha partecipato agli incontri. Sappiamo che alcuni/e avrebbero desiderato avvicinarsi al progetto, ma per vari motivi – anche per timore di mettersi in gioco in una situazione di gruppo – non lo hanno fatto. Fin dall’inizio abbiamo deciso di realizzare uno studio che fosse anche un’occasione per offrire ai/alle partecipanti un percorso di auto-formazione: ecco il motivo dei focus group, ottimo strumento per stimolare la consapevolezza di sé oltre che per far emergere dati di ricerca importanti.

Nel futuro vorremmo proseguire con interviste singole – che certamente riusciranno a intercettare anche chi ad un dialogo di gruppo non è disposto/a a partecipare – e aprire un dibattito con le associazioni LGBT e dei migranti, cercando di comprendere in che forme e in che modi questi mondi interagiscono. Un interesse specifico sta nel comprendere in quali aspetti le esperienze di prime e seconde generazioni LGBT di migranti si sovrappongono e quali problematiche, aspettative e sguardi sulla propria condizione condividono oppure non condividono. Come prodotti della ricerca, abbiamo in programma di produrre un documentario e alcune pubblicazioni scientifiche (seminari, convegni, articoli).

Dal punto di vista della vostra ricerca a che punto è il dibattito nel nostro paese in relazione all’orientamento sessuale/identità di genere? Come si riflette sul mondo G2?

In Italia le organizzazioni LGBT hanno iniziato ad interrogarsi su cosa significhi essere gay, lesbica, bisessuale, transgender e al tempo stesso migrante oppure figlio/a di stranieri. Nonostante le presone LGBT siano in molti casi oggetto di discriminazione e di privazione di diritti e sperimentino sulla propria pelle la condizione di essere minoranza, possono ricreare all’interno dei luoghi di frequentazione LGBT le medesime dinamiche di stigmatizzazione ed esclusione a danno degli “stranieri” che si osservano nella società più in generale o in altre forme organizzate.

A volte sono gli stessi modelli di condotta e le pratiche che adottiamo nelle nostre associazioni ad essere mono-culturali e non inclusive: lo sguardo di chi vive forme differenti di etnicità e di combinazioni nell’essere LGBT, ci è utile per innovare e rendere più flessibili i nostri percorsi di attivismo. Quest’anno alla parata del Pride di Milano una quindicina di seconde generazioni ha sfilato in gruppo, alcuni/e sul carro insieme ad Agedo, altri/e marciando a seguito: hanno chiesto uno spazio di visibilità al coordinamento dell’iniziativa ed è stato loro concesso. Un risultato incredibile per chi come noi crede che costoro saranno un agente importante di cambiamento per la realtà sociale dei migranti e delle persone LGBT.

Entrando più nello specifico della tua domanda, non siamo ancora in grado di dire quale sia l’impatto che il dibattito sulle questioni inerenti l’orientamento sessuale e il genere hanno sulle seconde generazioni e sui loro destini. Consideriamo d’altra parte che essi/e condividono i luoghi e gli ambienti sociali frequentati da tanti/e ragazzi/e italiani, scuola e università anzitutto. Alcuni, poi, sono già attivi nelle associazioni. Credo, d’altra parte, che il loro punto di vista e il punto di vista dei migranti potrebbe portare contributi interessanti a questo dibattito poiché non è vero che in termini di diritti civili i paesi da cui provengono le loro famiglie siano tutti ad uno stadio meno avanzato. Sarebbe inoltre interessante comprendere come le questioni LGBT vengono recepite, decodificate e gestite dalle famiglie: alcuni dati in questo senso li abbiamo raccolti nel corso dei focus group, ma servirebbe una ricerca a sé stante.

Da quel che sta emergendo dal vostro studio – tutt’ora in corso – esistono esigenze o bisogni specifici da parte delle “seconde generazioni LGBT” che posso essere tradotti anche in domande verso i decisori pubblici o i servizi alla persona?

Secondo la nostra esperienza esistono due bisogni immediati da parte dei giovani LGBT di seconda generazione: il bisogno/desiderio di raccontarsi in uno spazio pubblico-protetto e il bisogno/desiderio di riconoscersi in e di appartenere a reti sociali che valorizzino la loro identità in quanto giovani di origine straniera gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Che questo bisogno/desiderio sia generalizzato, non lo possiamo certo affermare: alcuni ragazzi e ragazze che abbiamo invitato per vari motivi non hanno voluto partecipare né essere “identificati/e” in quanto figli/e di migranti o LGBT. Come dicevo sopra, chi ha partecipato ai nostri incontri possedeva già un certo livello di consapevolezza rispetto al proprio percorso identitario e probabilmente desiderava esplorarlo più a fondo.

Sappiamo che vi sono altri/e che sperimentano un livello di conflittualità e difficoltà maggiori rispetto alle diverse dimensioni della propria identità. Per costoro potrebbe essere utile attrezzare servizi e spazi di consulenza e ascolto, anche in collaborazione con la scuola. Un altro soggetto cui vorremmo dare risposta è quello dei genitori e delle famiglie. A tal proposito un ruolo di mediazione potrebbe essere assunto dalle associazioni dei migranti, sia quelle legate ad una dimensione etnico-nazionale, sia quelle nate da esigenze e progetti trasversali: portarle a riflettere sui percorsi LGBT e ad acquisire competenze di orientamento nei confronti delle famiglie potrebbe essere uno degli obiettivi cui aspirare.

Foto copertina: Medhin Paolos