Un articolo di Ferruccio Pastore ed Elizabeth Collett sulle sfide per la nuova Commissione europea nel campo della politica migratoria.
Il nuovo Parlamento europeo è insediato. Il mandato a José Manuel Barroso, deciso dai governi, è stato infine approvato da un’ampia maggioranza parlamentare. Il “ripensamento” degli irlandesi ha spianato la strada, pur con qualche ostacolo residuo, all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Insomma, l’Unione europea, a lungo frenata da impasse istituzionali, scadenze elettorali ed emergenza economica, sembra finalmente pronta a ripartire. Non è chiaro, tuttavia, con quali obiettivi.
L’incertezza strategica appare particolarmente evidente sul terreno delle politiche migratorie. E’ un’incertezza che riguarda innanzitutto il contenuto delle politiche: al di là della crisi, di quanta e quale immigrazione avrà bisogno l’Europa? In un quadro sociale e occupazionale che rimarrà a lungo critico, come mediare efficacemente tra fabbisogni di manodopera e ostilità delle opinioni pubbliche, tra pressione migratoria irregolare e principi in materia di asilo e protezione internazionale?
Ma l’incertezza investe anche la dimensione istituzionale e quindi il ruolo possibile/auspicabile delle istituzioni europee sul terreno delle politiche migratorie. Dieci anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, il bilancio dell’azione di Bruxelles in materia migratoria è tutto sommato deludente. Molto è stato fatto per coordinare meglio e rendere più efficaci i controlli sui flussi irregolari. Ma in tutti gli altri campi, specialmente in quello decisivo dell’immigrazione per lavoro, la competenza comunitaria ha prodotto sinora pochi e modesti frutti.
Le aspettative nei confronti di Bruxelles rimangono alte. Sia da parte delle opinioni pubbliche, che in questo campo esprimono una “domanda di Europa” relativamente elevata (seppure con forti variazioni da paese a paese)[1], sia da parte di molti Stati membri, soprattutto quelli dell’Europa mediterranea, che invocano maggior sostegno nel loro scomodo ruolo di custodi della frontiera comune.
La legislatura europea che si apre si misurerà anche da come saprà rispondere a queste domande. Molto dipenderà dagli orientamenti dei maggiori paesi, Francia e Germania per prime. Da tempo si parla di un possibile rilancio dell’iniziativa franco-tedesca in Europa. In tal caso, l’immigrazione, insieme alla difesa europea e al governo dell’economia, potrebbe essere uno degli ambiti di cooperazione privilegiati. I risultati elettorali tedeschi rendono questo scenario più vicino e probabile, anche se l’enfasi della nuova FDP di Westerwelle sui diritti civili potrebbe risultare difficile da conciliare con la priorità accordata dalla coppia Sarkozy-Besson a controlli e identità nazionale.
In questo quadro, lo spazio di azione per la Commissione europea non è ampio. Per adeguarsi a un contesto socio-economico e istituzionale in profonda trasformazione, l’esecutivo comunitario dovrà sapersi riorganizzare e rinnovare. In un numero monografico, la rivista Challenge Europe, prodotta dallo European Policy Centre di Bruxelles si interroga sulle sfide politiche e istituzionali che aspettano il prossimo esecutivo comunitario. Nel loro articolo (pp. 50-58), Ferruccio Pastore (FIERI) ed Elizabeth Collett (EPC) si concentrano sulle problematiche connesse alla riorganizzazione del lavoro della Commissione nel settore Giustizia e affari interni, con particolare attenzione alle politiche nei confronti delL’immigrazione legale e illegale.