Si è da poco conclusa la ricerca promossa da FIERI dal titolo “Giovani e territorio. Percorsi di integrazione di ragazzi italiani e stranieri in alcune province del Piemonte” che aveva L’obiettivo di indagare, attraverso una survey, i percorsi di inserimento di giovani di ‘seconda generazione’ e analizzare le dinamiche relazionali tra coetanei (italiani/stranieri), in famiglia, a scuola, e nelle altre agenzie di socializzazione (associazioni, luoghi di culto, gruppi sportivi, ecc.) [leggi il Rapporto di ricerca →]. La ricerca ha preso in considerazione tre province del Piemonte (Torino, Alessandria e Asti), è stata finanziata dalla Compagnia di San Paolo e ha ottenuto il supporto delle prefetture dei territori interessati, oltre al sostegno dell’Università del Piemonte Orientale. Michael Eve ha curato la supervisione scientifica e Roberta Ricucci ha coordinato la ricerca.
Abbiamo intervistato Roberta Ricucci (autrice del libro neoedito Italiani a metà, Il Mulino), cui abbiamo chiesto di presentare i risultati delL’indagine.
Presentiamo sinteticamente la ricerca: cosa volevate indagare e come avete strutturato L’indagine?
La ricerca ha esplorato alcuni aspetti della vita dei 15-20enni stranieri, cercando di cogliere le loro traiettorie all’interno della società italiana e nello specifico piemontese. Obiettivo dello studio è stato quindi quello di indagare le interazioni sociali di adolescenti e giovani, immigrati e non, in tre realtà provinciali (Asti, Alessandria e Torino), analizzando i fattori che condizionano tale processo. Per esaminare i numerosi ambiti entro cui si snodano i percorsi di integrazione, si è partiti dall’esperienza scolastica, per ampliare la prospettiva d’indagine e considerare, ad esempio, le relazioni familiari e amicali, i rapporti con il territorio in cui vivono i giovani, le aspettative e i progetti per il futuro. L’indagine è stata quindi condotta nelle scuole secondarie di secondo grado e negli istituti di formazione professionale, da sempre osservatorio privilegiato, anche se parziale, delle caratteristiche e dei percorsi di integrazione degli adolescenti e giovani di origine straniera.
Nel complesso sono state coinvolte 40 scuole (7 istituti professionali, 10 istituti tecnici, 9 licei, 9 centri di formazione professionale, 3 scuole che raggruppano sia un istituto tecnico sia uno professionale e infine 2 strutture che includono sia un istituto tecnico sia un liceo) per un totale di 128 classi, per un totale complessivo di 2.114 studenti intervistati, di cui il 20% con cittadinanza non italiana. è bene specificare che non si tratta di un campione rappresentativo della popolazione di riferimento in generale: le scuole e le classi selezionate non riflettono i dati nazionali relativi agli studenti italiani e stranieri iscritti nei vari tipi di scuole secondarie di secondo grado, che emergono dalle pubblicazioni del Ministero dell’Istruzione. Per questo motivo gli atteggiamenti rilevati non sono generalizzabili alla popolazione scolastica del nostro Paese.
Nel rapporto si invita spesso a non generalizzare le analisi sull’insieme della popolazione di origine immigrata a scuola. Un elemento che può apparire scontato, soprattutto se si analizza la pluralità delle provenienze, dei curricola familiari e del tasso di scolarizzazione parentale. Di fronte a quale tipo di complessità ci troviamo quando analizziamo la presenza immigrata nelle scuole?
Appartenenze generazionali differenti, percorsi scolastici eterogenei, bagagli linguistici e contenuti disciplinari talora difficilmente comparabili: sono alcuni degli aspetti che gli insegnanti sottolineano di fronte alla sfida posta dagli allievi stranieri in classe. Proprio perché si tratta di elementi che, variamente combinati fra loro, disegnano scenari complessi all’interno delle varie istituzioni scolastiche.
La popolazione straniera che vi si rivolge è articolata e corposa, in termini sia numerici (numerosi sono infatti i ricongiungimenti familiari attuati in età adolescenziale) sia di esigenze. I ragazzi che arrivano dall’estero, infatti, hanno un bagaglio scolastico pregresso ormai ampio, che richiede strumenti adatti per essere recuperato, integrato ed orientato. Nel contempo, però, questi stessi allievi si trovano a vivere il difficile passaggio di un cambiamento traumatico e radicale su tutti i piani di vita (familiare, scolastico, amicale, relazionale-affettivo). Un dato, che non sempre è riconosciuto e individuato.
Esistono dei modelli di semplificazione che si possono applicare a seconda della provenienza o di determinati elementi del capitale culturale? Esistono difficoltà prevalenti in determinate provenienze e se sì, la scuola come si attrezza per farvi fronte?
Si rilevano differenze significative nella relazione fra tipologia di scuola frequentata e cittadinanza degli allievi: i dati della ricerca rilevano differenze nei percorsi scolastici e negli esiti tra studenti delL’Est Europa e delL’Africa settentrionale. La nazionalità, che si porta dietro catene migratorie e percorsi differenziati oltre a diverse concezioni del ruolo delle istituzioni scolastiche, continua ad avere il peso maggiore. I rumeni, con una maggioranza di genitori altamente istruiti, hanno più possibilità di accedere a corsi liceali, mentre i marocchini, che appartengono a famiglie con un capitale culturale più modesto, nel 52% sono orientati verso la formazione professionale ed in questo caso non solo i ragazzi, ma anche le ragazze.
Si tratta solo di scelte familiari? Ricerche recenti sottolineano l’ambivalente ruolo delle attività di orientamento svolte dagli insegnanti nei confronti degli allievi stranieri, in ingresso nella scuola superiore sia dall’estero sia per promozione dalla scuola media italiana.
Sarà ancora così anche nei prossimi anni? Insegnanti di scuole medie con un’alta percentuale di ragazzi provenienti dall’estero si rendono conto delle diversità e dei cambiamenti in atto e, ad esempio, stanno registrando un alto numero di arrivi dall’Est Europa di famiglie con un capitale culturale modesto.“Non abbiamo un modello unico di straniero, abbiamo una complessità di modelli determinati da: paese d’origine, lingua o dialetto d’origine, classe sociale, genere, scolarità pregressa, età. C’è una variabilità “tosta”. Inseriamo la ragazzina rumena, prima della classe nella scuola rumena, in una classe in cui abbiamo pochi rumeni con situazioni più difficili. Abbiamo ancora rumeni di fascia alta, rispetto agli ultimi arrivi, che sono un po’ più malconci. Abbiamo prevalentemente ragazzini dal Maghreb, ancora dei minori soli, maschi, e ragazzine delle città, già tutte con il velo, motivatissime, educatissime e seguitissime” (insegnante, scuola media di Torino).
La scuola oggi è un fattore di mobilità sociale per i figli degli immigrati? Esistono differenze legate allo status, alla provenienza o al grado di scuola frequentato?
Un risultato interessante emerso dalla ricerca riguarda il percorso scolastico di studenti italiani, nipoti dell’immigrazione interna degli anni Sessanta. Si tratta di ragazzi e ragazze collocati principalmente nei segmenti meno qualificati dell’istruzione. Quasi a dire che dopo due generazioni l’esperienza migratoria spiega ancora degli effetti. Certo il dato non va generalizzato, ma sicuramente è indicativo di come la frequenza scolastica, senza azioni di accompagnamento, supporto e affiancamento rivolte sia agli allievi sia alle famiglie non sia sufficiente. Ieri come oggi.
Un aspetto interessante riguarda la scelta del tipo di scuola. Quali sono gli elementi che influiscono maggiormente sulla scelta? Sono legati alla storia familiare o indipendenti da esso?
L’analisi dei percorsi e degli esiti scolastici mette in luce alcuni aspetti relativi non solo al legame tra andamento e variabili socio-anagrafiche, ma anche al rapporto tra allievi e tipo di scuola frequentata.
L’autovalutazione che i ragazzi hanno dato sul loro rendimento è complessivamente buona, il 46% dichiara di andare meglio della maggior parte dei suoi compagni e solo una minoranza si ritiene tra i meno bravi della classe. Se esaminiamo i dati disaggregati tra italiani e stranieri, a loro volta suddivisi per tempo di permanenza in Italia, il quadro non si discosta più di tanto dalla media d’insieme e l’autovalutazione di chi ha altre origini non è significativamente diversa dagli autoctoni.
Le autovalutazioni non sembrano tanto legate alla nazionalità quanto al tipo di scuola. Va rilevato il giudizio decisamente positivo di chi frequenta un centro di formazione professionale: il 73% si colloca nel gruppo con i risultati migliori, negli altri istituti è circa il 60% ad autocollocarsi nella stessa posizione. La diversa organizzazione degli istituti e il livello differente di prestazioni richieste potrebbero incidere sulla percezione dei ragazzi rispetto alle competenze acquisite in aula.
A parte questa discrepanza, che vale ugualmente per gli stranieri e per gli italiani, è interessante vedere l’autovalutazione degli stranieri nei vari tipi di corso. Infatti, mentre gli stranieri sono più propensi a collocarsi “tra i più bravi della classe” nei centri di formazione professionale, nei licei (e in misura minore, negli istituti tecnici) il rapporto si inverte: gli stranieri sono meno propensi a classificarsi tra migliori. Se accettiamo che i giudizi degli studenti rispetto al proprio rendimento non siano del tutto privi di fondamento, cosa vuol dire rispetto ai percorsi scolastici che saranno seguiti? Sembrano mostrare studenti stranieri che vanno ragionevolmente bene nei centri di formazione professionale e negli istituti professionali, mentre nei licei il numero di allievi che si trova in difficoltà è maggiore.
Un’altra variabile che potrebbe incidere è il capitale culturale della famiglia, se lo studente trova a casa più stimoli intellettuali ha una probabilità più alta di avere un rendimento migliore. Così come emerso nell’ultima indagine IARD, anche nel caso di questa ricerca il livello culturale sembra esercitare un effetto più forte rispetto al capitale sociale.
Un capitolo della ricerca è dedicato alle scelte future degli studenti italiani e stranieri. Quali sono le specificità e le differenze e come la scuola risponde alle aspettative?
Le scelte sembrano essere ancora fortemente legate a fattori socio-anagrafici quali genere, cittadinanza e capitale sociale e culturale della famiglia d’origine.
Le ragazze sono più propense ad ottenere credenziali educative elevate: la maggior parte è orientata a continuare gli studi all’università (46% vs 33% dei maschi) e poche vogliono ottenere una qualifica professionale e cercare subito un lavoro (9% vs 19% dei maschi). Anche i lavori a cui ambiscono sembrano essere di più alto profilo, 1 su 4 punta a professioni qualificate (vs 19% dei compagni) o di carattere impiegatizio (35% vs 24%). Ancora le ragazze paiono maggiormente orientate ad un’occupazione nel settore commerciale (14% vs 7% dei ragazzi), sembrano un po’ più realiste dei coetanei e poche privilegiano le professioni legate a spettacolo, moda e sport (6% vs 10%).
Tra italiani e stranieri, gli autoctoni sembrano più orientati a percorsi educativi lunghi e a posticipare l’ingresso nel mercato del lavoro: il 41% vuole frequentare l’università vs. il 32% della seconda categoria. Chi ha una provenienza al di fuori dei confini nazionali cercherà più in fretta di trovare un lavoro, anche con una sola qualifica professionale (22% vs. 12%). Chi è nato in Italia o è arrivato da bambino ha qualche chance in più rispetto ai neo-arrivati di proseguire con una carriera universitaria (35% vs 28%), al contrario entrambe le categorie si ritrovano con pesi molto simili tra chi terminerà solo i corsi di formazione professionale, rispettivamente 17 e 20%, mentre gli italiani sono il 12%.
Per gli stranieri le aspettative lavorative sono ancora leggermente più basse rispetto agli italiani (16% vs 24% mira a professioni qualificate) e una quota rilevante vuole trovare un’occupazione come artigiano o operaio in un’industria (22% vs 14%). In questo caso la permanenza in Italia ha un peso importante sulle aspirazioni professionali, anche se chi è qui da più tempo non ha percorsi scolastici/formativi tanto diversi dai nuovi arrivati ambisce comunque in misura maggiore a professioni qualificate (24% vs 16%), non è orientato a mestieri di basso profilo (13% vs 33%) ed è attratto in misura maggiore dal mondo dello spettacolo (13% vs 7%). Analogo discorso vale per coloro che frequentano istituti tecnici e licei: in questo caso l’assimilazione alle prospettive dei coetanei italiani è forte.
Una parte del rapporto è dedicato ai consumi crossmediali degli studenti: internet, televisione, ICT. Come si struttura il rapporto tra giovani e dimensione digitale?
L’intensità dell’uso di internet varia a seconda dei vari tipi di scuola frequentata, specialmente tra gli utilizzatori “forti” (oltre le 10 ore a settimana) che sono intorno al 13% nei centri di formazione professionale, il 15% circa negli istituti professionali, intorno al 25% negli istituti tecnici e al 19% nei licei. Non sappiamo se queste differenze abbiano a che fare con il fatto che certe scuole sono un canale di apprendimento. Presumiamo che il processo di apprendimento dell’uso di internet, ancor di più che dell’uso del computer, avvenga in buona parte tra amici o grazie a conoscenti adulti o giovani, e che a questi in certi casi si affianchino la scuola e corsi extrascolastici. Le differenze tra scuole sarebbero piuttosto un indicatore di disuguaglianza sociale e non di differenti insegnamenti informatici.
Riguardo alle attività principali svolte sulla rete web, è possibile distinguere fra attività diffuse (uso della posta elettronica, ricerche per studio, attività di download, chat, ricerca di informazioni, gioco); minoritarie (nel nostro campione vi rientrano la ricerca di notizie di attualità, i blog e la gestione di una pagina di Facebook); di nicchia (acquisto e vendita di prodotti on line, podcasting, telefono). Prevale un uso di base e delle chat line con gli amici, quelli che si vedono spesso, soprattutto tra gli italiani; non quindi per conoscere persone nuove ma per mantenere in ogni momento la comunicazione con chi si frequenta abitualmente.
Le attività più specialistiche per il tempo libero sono poco diffuse. Esistono differenze di genere: tra i maschi sono nettamente più diffusi l’uso ludico della rete e le attività di download. Le ragazze usano maggiormente internet per mantenere contatti con amici che vedono raramente e per fare ricerche di studio, sono più partecipi ai blog e oltre la metà gestisce una pagina personale e comunica con Facebook. Le differenze rispetto all’origine si riferiscono ad aspetti che hanno a che fare con il mantenimento di contatti a distanza, più frequente fra i ragazzi di origine straniera: l’uso del telefono, la chat con amici che si vedono raramente (mentre è inferiore la percentuale di stranieri che usa la rete per comunicare con amici che si vedono spesso), e l’e-commerce, forse per la reperibilità di prodotti non disponibili nei luoghi di residenza.
Si parla molto spesso in questo periodo di cittadinanza e seconde generazioni. Quali prospettive offre questa ricerca relativamente al dibattito sul tema?
La ricerca invita ad andare oltre questo dibattito, anche se la cittadinanza continua ad essere una variabile chiave. Nella percezione degli insegnanti, di fronte ai quali gli allievi stranieri non si distinguono fra preparati e impreparati, bravi e meno bravi, ma fra marocchini e rumeni, peruviani e macedoni. Nelle relazioni fra pari: le reti amicali all’esterno della scuola restano ancora fortemente connotate etnicamente. Ma nonostante questi fattori, nel complesso, le similitudini emerse fra italiani e stranieri sono più numerose delle differenze: man mano che aumenta il periodo trascorso in Italia, vi è una tendenziale omologazione (nei comportamenti e nelle aspettative) dei figli dell’immigrazione di oggi allo stile di vita dei coetanei italiani. Tentativo di assimilazione per evitare processi di stigmatizzazione e di discriminazione?
Un altro dato rilevante riguarda il tendenziale isolamento che colpisce le ragazze di origine straniera. Timori genitoriali, esigenze domestiche che richiamano ruoli tradizionali di genere o investimento scolastico maggiore?
Si tratta di due questioni significative, che sembrano, dal punto di vista educativo, spostare il dibattito sul ruolo delle due principali agenzie educative (la scuola e la famiglia) nell’accompagnare la crescita delle giovani leve.