Governi locali e integrazione: il nuovo dinamismo delle città statunitensi

 di Emanuela Roman

Sia in Europa che in Nord America, l’immigrazione si caratterizza sin dal XIX secolo come un fenomeno urbano, sebbene non sempre e non esclusivamente legato a città di grandi dimensioni. È proprio da questa fondamentale caratteristica del fenomeno migratorio che deriva la centralità della dimensione locale ai fini di qualsiasi valutazione sull’impatto dell’immigrazione e di ogni riflessione sulle politiche di integrazione. Sono infatti le comunità locali, le città e i quartieri il primo spazio in cui persone appartenenti a comunità diverse e provenienti da Paesi diversi si incontrano ed interagiscono, e dove delle azioni che favoriscano queste dinamiche di interazione ed integrazione possono avere un’efficacia immediata.

Ad oggi, tuttavia, su entrambe le sponde dell’Atlantico le comunità locali si trovano ad affrontare non solo la sfida di fenomeni migratori in continua evoluzione, ma anche i problemi che la crisi economica pone in termini di risorse che la pubblica amministrazione può investire in politiche dell’integrazione, e più in generale, in politiche sociali e servizi a beneficio della comunità dei residenti nel suo insieme. Le città si confrontano con problematiche di vario tipo: dal fornire servizi specifici ai residenti stranieri e ai newcomers, all’assicurare la coesione sociale e il dialogo interculturale all’interno della comunità; dal garantire a tutti i residenti l’esercizio dei propri diritti e un equo accesso ai servizi, al favorire la vitalità economica ed imprenditoriale degli stranieri rendendola un fattore di potenziale sviluppo per l’intera comunità. In un contesto di questo tipo risulta essenziale, per città che vivono dinamiche similari, discutere e condividere le proprie esperienze in un’ottica di cooperazione e scambio reciproco, allo scopo di sviluppare politiche ed azioni efficaci e mobilitare tutte le risorse disponibili in un orizzonte di riduzione della spesa pubblica, quale quello attuale.

Da queste premesse nasce l’idea di porre le basi per un dialogo transatlantico tra le città europee e statunitensi più attive e dinamiche in termini di politiche per l’integrazione. La prima tappa nello sviluppo di una cooperazione transatlantica è stata il convegno “Shifting Economies, Shifting Migration Patterns: Local Impacts and Policy Responses” tenutosi a Torino dall’11 al 13 aprile, organizzato dal German Marshall Fund con il supporto della Compagnia di San Paolo e la collaborazione di FIERI. Questo workshop ha visto la partecipazione di leader politici e funzionari della pubblica amministrazione provenienti da un decina di città statunitensi ed europee, convenuti a Torino per discutere delle sfide comuni in ambito di immigrazione ed integrazione, nonchè delle soluzioni percorribili, mettendo a disposizione ciascuno la propria esperienza e le proprie best practices. Le città che hanno partecipato con un proprio rappresentante sono state: New York City, Chicago, Salt Lake City, Pittsburgh, Bilbao, Stuttgart, Birmingham, Torino e Reggio Emilia. Hanno inoltre partecipato al workshop rappresentanti del mondo accademico e della ricerca italiani ed europei, membri della società civile e di organizazioni non governative torinesi operanti nei settori dell’accoglienza, della salute e dell’istruzione e alfabetizzazione, e leader di organizzazioni non governative e gruppi di pressione statunitensi, quali Massachusetts Immigrant and Refugee Advocacy Coalition e Welcoming America.

Particolarmente illuminanti sono apparsi i casi di New York City e di Chicago. Entrambe sono celebri gateway cities, città che negli Stati Uniti rappresentano una meta privilegiata di immigrazione fin dal XIX secolo e che continuano ad esserlo ai giorni nostri. Le percentuali di residenti stranieri e di cittadini americani di origine straniera sono elevate: a Chicago, i primi rappresentano circa il 21% della popolazione, a New York i primi sono il 37% e i due gruppi assieme rappresentano circa il 60% degli abitanti della città. In entrambe le città è presente un ufficio dedicato a questi “nuovi cittadini” e il workshop torinese ha avuto il piacere di ospitare i due carismatici dirigenti di tali uffici: Fatima Shama per New York e Francisco Hernandez per Chicago. L’organizzazione, le iniziative e il modus operandi di questi due uffici hanno destato grande interesse in tutti i partecipanti al convegno e rappresentano senza dubbio un modello vincente in termini di coesione sociale e una potenziale fonte di ispirazione e di “buone pratiche” anche per le città europee.

La creazione del Mayor’s Office of Immigrant Affairs nella città di New York risale al 1984, quando il sindaco Edward Koch istituì l’ufficio all’interno del Dipartimento di Pianificazione Urbanistica, nella consapevolezza che l’immigrazione era un tratto caratteristico di New York ed un processo duraturo. Nel 2001 il Mayor’s Office of Immigrant Affairs è diventato, con referendum popolare, il primo ufficio negli USA dedicato specificamente alla tutela del diritto degli immigrati ad avere accesso ai servizi municipali e allo sviluppo di politiche finalizzate a facilitare l’integrazione dei residenti stranieri. Durante l’amministrazione Bloomberg (dal 2002 ad oggi) New York si è definitivamente affermata come la città-leader nelle politiche locali di integrazione degli stranieri. Tra le numerose iniziative perseguite ricordiamo: l’adozione di una rigorosa confidentiality policy a tutti i livelli dell’amministrazione, allo scopo di garantire l’accesso ai servizi da parte di tutti i residenti, compresi gli immigrati irregolari (tutelando la riservatezza delle informazioni personali, tra cui quelle relative al proprio status); una altrettanto capillare language policy, che prevede servizi di traduzione ed interpretariato a tutti i livelli dell’amministrazione in modo da assicurare il pieno accesso ai servizi e la piena comprensione delle informazioni da parte di tutti i newyorkesi; azioni volte ad incoraggiare la partecipazione delle diverse comunità alla vita civile e politica della città; misure per il supporto e lo sviluppo delle piccole imprese e dell’imprenditorialità etnica; programmi di mentorship; politiche per l’apprendimento della lingua inglese; e iniziative di promozione della naturalizzazione1. Inoltre, la città di New York, in particolare negli ultimi due anni, ha intensificato la propria azione di cooperazione e di supporto allo sviluppo di uffici dedicati e di programmi mirati all’integrazione anche in altre città americane.

Tra quest’ultime, ha sicuramente assunto un ruolo di primo piano la città di Chicago, dove il cambio di amministrazione del 2011 ha segnato anche un radicale cambiamento di prospettiva nei confronti dell’immigrazione. Il sindaco Rahm Emanuel, eletto nel maggio 2011, ha immediatamente istituito il Mayor’s Office of New Americans e ha posto come obiettivo primario della propria amministrazione quello di rendere Chicago la città più accogliente al mondo per gli stranieri. Il sindaco ha anche costituito un comitato consultivo composto da una cinquantina di leader e rappresentanti dei settori economico, accademico, non-governativo e filantropico di Chicago. Nell’arco di due mesi, il comitato aveva il compito di identificare i problemi specifici dei residenti stranieri, proporre una serie di iniziative da realizzare nei tre anni successivi e sviluppare un piano organico e dettagliato per il Mayor’s Office of New Americans e i suoi partner. Sono stati condotti più di cento colloqui con esperti nazionali e locali ed associazioni di immigrati, e il risultato di questo processo è il Chicago New Americans Plan, che delinea 27 iniziative, suddivise in tre macroaree, da realizzarsi entro il 2015. Le diverse iniziative hanno lo scopo di aiutare i residenti stranieri a superare gli ostacoli esistenti e a migliorare la propria vita quotidiana, così da permettere loro di contribuire più pienamente allo sviluppo economico, sociale e culturale della città nel suo complesso. Le tre aree in cui il programma si concentra sono: crescita economica, imprenditoria e lavoro; educazione giovanile; creazione di comunità vivaci, aperte ed accoglienti2.

Numerosi sono gli aspetti che accomunano le esperienze di New York e Chicago e che sembrano delineare un modello molto avanzato di governo locale dell’integrazione, che si sta affermando in molte città americane e in alcune città europee, come Birmingham.

  • Innanzitutto, vi è una percezione degli immigrati che ad occhi italiani potrebbe quasi apparire rivoluzionaria. I residenti stranieri non sono da considerarsi come un problema o come un fardello per una città; al contrario, rappresentano un’enorme risorsa in termini economici, sociali e culturali, la possibile chiave per un nuovo sviluppo della città e una ridefinizione dell’identità della stessa. Questo discorso non vale solo per gli stranieri regolarmente residenti nel territorio nazionale, ma coinvolge dichiaratamente anche gli immigrati irregolari, anch’essi considerati dei “nuovi cittadini” (e in quanto tali titolari di diritti e beneficiari di servizi), nonchè una potenziale risorsa per la comunità, e dei futuri elettori.
  • Vi è un forte accento sulla dimensione economica delle politiche di integrazione. Come spiegava Francisco Hernandez, il Chicago New Americans Plan è stato pensato in primis come un piano per lo sviluppo economico della città di Chicago. Da un lato, si valorizza l’indiscutibile apporto degli stranieri altamente qualificati nei settori economici legati a scienza, informatica e tecnologia. Dall’altro, è forte la consapevolezza che gli stranieri immigrati hanno un’altissima propensione ad intraprendere un’attività economica in proprio, e che questo tipo di imprenditorialità, sebbene spesso di piccole-medie dimensioni, se ben canalizzata produce posti di lavoro, ha un impatto positivo sulle esportazioni, può contribuire a rivitalizzare dei quartieri e può rappresentare un elemento di interesse turistico.
  • Un aspetto cruciale e particolarmente significativo in un periodo di crisi economica e di riduzione della spesa pubblica quale quello attuale, è rappresentato dal fatto che nessuno dei Mayor’s Offices rappresentati al workshop torinese ha a disposizione un proprio budget dedicato. Pertanto, le iniziative programmate dagli stessi sono generalmente pensate in modo tale da non richiedere ingenti risorse economiche per la loro realizzazione. La risorsa fondamentale su cui poggiano questi uffici è rappresentata da un personale estremamente motivato e da dirigenti di alto profilo. Una caratteristica essenziale è poi la capacità di cooperare con gli altri dipartimenti dell’amministrazione municipale in modo tale da mobilitare le risorse, sia umane che finanziarie, già presenti all’interno dell’amministrazione. Parimenti importante è la capacità di creare legami e costruire reti con le università, le scuole, le imprese, le fondazioni filantropiche, le camere di commercio, i consigli di quartiere, le organizzazioni sindacali, le associazioni religiose, le associazioni degli immigrati, le organizzazioni non governative e qualsiasi altro attore coinvolto o coinvolgibile nella realizzazione di una certa misura di integrazione. Fare rete e mobilitare le risorse esistenti, anche al di fuori dell’amministrazione municipale, sembrano essere la chiave per il successo di programmi di integrazione “low cost” ma al tempo stesso molto ambiziosi.
  • Il ruolo di una forte leadership politica non può non essere considerato, come dimostrano sia il caso di New York che il caso di Chicago, dove i sindaci hanno fatto della volontà di accogliere gli stranieri e di costruire una comunità coesa ed integrata la propria bandiera. D’altro canto va sottolineato che lo schieramento politico di appartenenza dei leader, se a volte fa la differenza (Salt Lake City), altre volte non sembra rilevare (New York) e che in alcuni casi l’effettiva realizzazione di un modello di integrazione di successo è slegata dall’esistenza di una leadership forte (Pittsburgh).

Gli elementi sin qui elencati non pretendono di essere esaustivi nel descrivere nè le esperienze di New York e di Chicago, nè tantomeno un ipotetico “modello statunitense” e non rappresentano nemmeno ricette semplificate replicabili in qualsiasi contesto. Si tratta piuttosto di alcuni degli aspetti che accomunano i percorsi verso l’integrazione di alcune città statunitensi e che nell’ambito del convegno “Shifting Economies, Shifting Migration Patterns: Local Impacts and Policy Responses” hanno suscitato l’interesse e l’entusiasmo di molti funzionari pubblici, ricercatori e membri di ONG italiani ed europei. L’auspicio condiviso da tutti i partecipanti al workshop è quello di proseguire questa proficua esperienza di dialogo transatlantico tra città, in un’ottica di confronto e apprendimento cooperativo e nella prospettiva del consolidamento di una vera e propria rete transatlantica, sul modello delle reti europee già esistenti.

Un importante segnale in questo senso è giunto dagli Stati Uniti a poche settimane dal convegno torinese. IL 25 aprile la città di New York ha ospitato l’incontro inaugurale della rete di città statunitensi Cities for Immigrant Integration ed ha contestualmente iniziato la pubblicazione di una serie di Blueprints for Immigrant Integration, delle mini-guide che ripropongono delle iniziative di successo volte all’integrazione degli stranieri realizzate dalla città di New York in diversi ambiti (accesso ai servizi, imprenditorialità etnica, partecipazione democratica e cittadinanza, istruzione, salute, e così via). Queste Blueprints vogliono essere uno strumento pratico a supporto delle azioni e dei programmi che altre città si propongono di realizzare nelle proprie comunità.

1 Per maggiori informazioni sul Mayor’s Office of Immigrant Affairs della città di New York e sulle sue iniziative, si veda: <http://www.nyc.gov/html/imm/html/home/home.shtml>.

2 Per maggiori informazioni sul Mayor’s Office of New Americans della città di Chicago e sul Chicago New Americans Plan, si veda: <http://www.cityofchicago.org/city/en/depts/mayor/provdrs/office_of_new_americans.html>.