Edita dal Laboratorio dei diritti fondamentali e a cura di Irene Biglino e Anthony Olmo, la ricerca “La salute come diritto fondamentale: una ricerca sui migranti a Torino” offre una panoramica puntuale dell”accesso all”offerta sanitaria da parte degli stranieri in Piemonte.
Lo studio, partendo da un inquadramento giuridico, si confronta con le problematiche specifiche relative all”accesso al sistema sanitario e all”esercizio dei diritti sanitari da parte della popolazione immigrata, considerando la specificità della loro domanda di salute contestualizzata nel più ampio e complesso panorama del sistema sanitario integrato tra pubblico e privato sociale.
Proponiamo in questa sede una presentazione della ricerca da parte dei due autori. La ricerca è disponibile a questo indirizzo.
di Irene Biglino e Anthony Olmo
Le statistiche recenti aiutano a quantificare la portata dei cambiamenti che hanno interessato la popolazione piemontese e torinese nell’arco degli ultimi dieci anni, sotto l’impulso dei processi migratori. Basti ricordare che, a livello regionale, si è passati dai 127.563 stranieri residenti nel 2002 ai 398.910 dell’inizio del 2011, e che la popolazione straniera residente nella Città di Torino ha, all’inizio del 2011, superato le 130.000 unità.
Questo cambiamento nella composizione demografica della popolazione ha certamente avuto anche dei riflessi sulla natura e sulla distribuzione delle problematiche di salute. Come ampiamente discusso nel rapporto di ricerca, è infatti evidente come, tra la popolazione migrante, risultino particolarmente diffuse alcune specifiche problematiche di salute. Basti pensare, a tal fine, all’incidenza degli infortuni sul lavoro – che colpisce in particolar modo la popolazione maschile immigrata – la percentuale di interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne straniere, o più in generale l’alto numero di ricoveri per le donne straniere per problemi legate alla salute materno-infantile. Si consideri, inoltre, l’incidenza di tubercolosi polmonare tra gli stranieri, patologia che colpisce in misura decisamente superiore alla popolazione italiana.
Parallelamente ai cambiamenti demografici e all’evoluzione dei bisogni della popolazione, anche i servizi sanitari hanno subito numerose modifiche nel tentativo di adattarsi allo scenario mutato. Si ricorda in tal senso, la nascita in via sperimentale verso la metà degli anni ’90 dei Centri ISI (Informazione Salute Immigrati) – divenuti poi pienamente operativi nel 2004 – tramite i quali viene garantito l’accesso ai servizi sanitari pubblici anche ai migranti non in regola con le norme che regolano il soggiorno. A fianco della risposta “pubblica” è altrettanto interessante notare il fiorire di numerose iniziative del privato sociale volte a fornire assistenza sanitaria alle fasce più deboli della popolazione e in particolare ai migranti.
La presenza di un privato sociale così attivo è certamente un dato estremamente positivo, che caratterizza la Città di Torino rendendola, da questo punto di vista, un sostanziale unicum in Italia. La città di sta dimostrando particolarmente all’avanguardia nel saper sfruttare la suddetta “co-presenza”. I due sistemi, pubblico e privato, non si muovono necessariamente su binari paralleli, ma dimostrano in certe occasioni di saper interagire virtuosamente mettendo a frutto l’esperienza e i mezzi di ognuno. Pensiamo a tal fine a progetti quali lo Sportello Prisma o la rete dei Gris. Entrambe le iniziative vedono una forte interazione tra il pubblico e il privato, finalizzata a trovare soluzioni concrete ai problemi che di volta in volta emergono rispetto alle problematiche di salute dei migranti, utilizzando e incrociando le risorse a disposizione dei due sistemi. Questi modelli risultano particolarmente utili da impiegare specialmente in periodi di crisi come quello attuale. Il saper ottimizzare le risorse di ognuno risulta infatti uno strumento efficace, se non addirittura l’unico strumento, per poter continuare a fornire un servizio adeguato.
Ciò detto, il servizio offerto risulta spesso insufficiente rispetto ai bisogni effettivi. Diversi problemi inficiano, infatti, la capacità dei servizi di essere pienamente efficaci. Talvolta i problemi riguardano questioni organizzative – quali gli orari insufficienti, la scarsa diffusione di informazione tra i migranti e tra gli operatori del settore ecc. – mentre in altri casi i problemi concernono la capacità del servizio di rispondere quantitativamente alle domande di salute, principalmente a causa di mancanza di personale, di mezzi, di strutture ecc. Quest’ultimo problema, come intuibile, sta peggiorando con la crisi economica e i susseguenti tagli ai finanziamenti. Da questo punto di vista, il sistema pare ormai essere di fronte a uno spartiacque a un lato del quale vi è l’impossibilità di fornire un servizio che sia, in primo luogo, quantitativamente sufficiente.
Per quanto concerne la qualità e le caratteristiche del servizio offerto, è opportuno innanzi tutto dare conto degli sforzi posti in essere dai servizi al fine di “raggiungere” la nuova utenza. Ricordiamo a tal fine, la nascita e l’affermazione di una figura professionale ad hoc, il mediatore culturale, nata proprio per cercare di colmare il gap che spesso separa l’utenza straniera e il servizio sanitario e per facilitare perciò l’accesso e la fruizione dei servizi. Queste figure sono ormai presenti nella maggior parte delle strutture. Nonostante l’introduzione di queste e altre innovazioni, pare tuttavia che i servizi nel loro complesso fatichino ancora a fornire una tipologia di servizio che possa dirsi veramente migrant-friendly, vale a dirsi strutturato e pensato sin dall’origine per le esigenza di un’utenza migrante. Alcune esperienze in corso in altre regioni del nostro paese, quali per esempio l’Emilia-Romagna, nel quadro delle quali si stanno sperimentando iniziative in tal senso potranno dare certamente indicazioni utili per il futuro.
Quali siano le prospettive per gli anni a venire è difficile da dire. Certamente la grave crisi economica ha già colpito duramente il sistema sanitario e l’eventualità di ulteriori anni sulla medesima falsariga non può che far temere seriamente per il sistema intero e, conseguentemente, per il diritto alla salute della popolazione nel suo complesso. In ogni caso, pare essenziale per il futuro l’adozione di una visione più inclusiva e profonda della salute e, di conseguenza, del sistema preposto alla tutela dello stesso.
La letteratura ha ormai fugato da tempo ogni dubbio circa il ruolo giocato dai determinanti sociali nella definizione della salute delle persone. è infatti ormai ampiamente dimostrato come la salute di ognugno di noi sia in buona parte determinata da una serie di fattori che caratterizzano l’humus sociale nel quale viviamo. L’abitazione, l’alimentazione, il grado di istruzione, la professione svolta e via dicendo sono tutti fattori che concorrono in maniera sostanziale a determinare il nostro grado di salute. Ciò è particolarmente vero per la popolazione migrante. Questa è infatti più facilmente collocata in condizioni sociali “difficili”, situazione che comporta conseguenze serie sulla salute di questo segmento della popolazione. è perciò evidente come la grande sfida per “politiche di salute” del futuro debba essere di saper dare una risposta quanto più “esaustiva” alle esigenze di salute delle persone in generale e dei migranti in particolare.
La salute ormai, come menzionato, non è più soltanto un “sinonimo” di sistema sanitario, ma include una gamma ben più ampia di fattori sociali. Anche su questi ultimi dovranno perciò concentrarsi – e agire – le politiche di salute nel futuro fungendo da catalizzatore e coordinatore di politiche adesso separate e autonome.