Il Presidente degli immigrati? Un”analisi del voto latino negli Stati Uniti

di Matteo Scali e Francesco Tarantino

Tra le diverse analisi sul recente voto americano, quella sulla composizione etnica delle preferenze e sull’influenza del voto ispanico è stata sicuramente una delle più citate e seguite. Ciò nonostante merita soffermarsi in modo specifico su alcuni aspetti della questione, in particolare sul rapporto che Obama ha saputo costruire con la parte immigrata del suo elettorato e su alcuni dati elettorali che confermano la rilevanza dell’elettorato latino.

Che il riconfermato Presidente Obama avesse da tempo puntato sul tema dellimmigrazione e della cittadinanza, non è un mistero. I passi compiuti in campagna elettorale, le recenti aperture, gli atti legislativi recentissimi (dal tentato Dream Act, alla sanatoria per centinaia di migliaia di figli della migrazione) prefiguravano unattenzione nei confronti del tema “immigrazione”, probabilmente senza precedenti.

Ma Obama e il suo staff in questo sono andati oltre e a testimoniarlo sono i due atti che hanno aperto e concluso questa campagna elettorale.

La Convention Democratica di Charlotte ha visto per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un giovane ispanico pronunciare il keynote speech, il discorso politico più importante della Convention. Si tratta di Julian Castro, sindaco di San Antonio e astro nascente del Partito Democratico. Castro, origine messicana, non ha fatto mistero della sua provenienza ma al contrario in più di un passaggio ha sottolineato il valore dellopportunità di una mobilità sociale anche per gli immigrati, legandosi alla più ampia retorica sul sogno americano.

“Mia nonna – ha detto Castro – non ha mai posseduto una casa, puliva quelle degli altri per potersi pagare un affitto. Ma ha visto la figlia diventare la prima della famiglia a laurearsi e mia madre ha combattuto con forza per i diritti civili in modo che io oggi potesse impugnare un microfono invece che una scopa”.

Castro è stato definito “l’Obama ispanico” ed è nato a San Antonio, seconda città del Texas, stato saldamente repubblicano che secondo alcune previsioni entro il 2020 vedrà la popolazione ispanica superare in termini assoluti quella bianca. Un processo analogo a quello di molti altri stati negli Usa, tanto che tra il 2004 e il 2008 lelettorato ispanico è passato dall8% al 13%.

Un incremento che è stato definito come “il più grande cambiamento nella composizione della popolazione degli Stati Uniti nellultimo secolo”.

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L’incremento previsto della popolazione (in milioni) in Texas tra il 1980 e il 2040
I latinos sono il motore dell’incremento

Se la Convention è stata guidata dallattenzione particolare al tema dellacquisizione dei diritti per i figli dellimmigrazione (tra cui quelli previsti dallacquisizione della cittadinanza), il discorso di elezione di Obama ne ha sancito limportanza strategica.

We believe in a generous America, in a compassionate America, in a tolerant America, open to the dreams of an immigrants daughter who studies in our schools and pledges to our flag. To the young boy on the south side of Chicago who sees a life beyond the nearest street corner. To the furniture workers child in North Carolina who wants to become a doctor or a scientist, an engineer or an entrepreneur, a diplomat or even a president — thats the future we hope for. Thats the vision we share. Thats where we need to go — forward.
(…)
Tonight you voted for action, not politics as usual. You elected us to focus on your jobs, not ours. And in the coming weeks and months, I am looking forward to reaching out and working with leaders of both parties to meet the challenges we can only solve together. Reducing our deficit. Reforming our tax code. Fixing our immigration system. Freeing ourselves from foreign oil. Weve got more work to do.

è probabilmente questa la prima volta che in una democrazia occidentale il tema dellimmigrazione viene usato come motore elettorale, non solo in chiave tattica (anche nella Convention repubblicana ha preso parola un Senatore della Florida di origine cubana, Marco Rubio) ma attraverso misure sostanziali che puntano allallargamento dei diritti in positivo. Ed è forse una delle prime volte, nella storia recente delle democrazie occidentali, che un’elezione importante viene vinta aprendosi, invece che chiudendosi all’immigrazione.

L’elettorato ispanico non è stato tradizionalmente uno dei bacini elettorali decisivi per i democratici. Come ricorda Andres Oppenheimer, un certo sbilanciamento cè sempre stato: “George W. Bush ottenne il 35 per cento del voto latino nel 2000 e il 40 per cento nel 2004, e John McCain ottenne il 31 per cento del voto latino nel 2008″. Considerando tuttavia i dati relativi a questa tornata, (tra cui quelli riportati dalla CNN che vedono il 71% dei latinos per Obama e quelli più precisi che parlano di 72%-23% per Obama) per i Repubblicani siamo di fronte al peggior risultato degli ultimi 20 anni.

Questo grafico mostra le percentuali di “voto ispanico” ottenuti dai diversi candidati democratici alla Casa Bianca, tra il 1980 e il 2012. Obama nel 2012 ha raggiunto la percentuale più alta, superando di poco il record di Clinton del 1996.

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Fonte: Latinovotematters.org

Un dato certamente determinato, almeno in parte, dallatteggiamento di Romney che ha assunto posizioni dure su immigrazione e sussidi statali, ma probabilmente anche da due atti legislativi recenti fortemente voluti da Obama.

Il primo, il Dream Act che puntava a estendere la cittadinanza ad oltre un milione e mezzo di figli di immigrati e, in secondo luogo, la sanatoria dellestate di questanno, con il Deferred Action for Childhood Arrivals Process che ne è seguito e che permette la regolarizzazione dello status migratorio e della condizione lavorativa per due anni per i giovani migranti irregolari. Una misura che presenta criteri decisamente elastici: i richiedenti devono aver compiuto 31 anni entro il 15 giugno del 2012, devono essere arrivati negli Stati Uniti prima del sedicesimo anno di età e devono frequentare una scuola o aver prestato servizio nellesercito americano. .

Sul voto dei latinos, in sostanza, i riflettori si erano accesi già da mesi. I sondaggi e le analisi che hanno preceduto il voto del 6 novembre avevano già evidenziato la potenziale influenza che il voto dei latinos avrebbe potuto dare alla rielezione di Obama. Il sito web LatinoVoteMap.org (curato dall’agenzia Latino Decisions, impegnata da anni nella rilevazione dell’opinione pubblica ispanica negli Stati Uniti) ad esempio, da mesi aveva pubblicato una mappa elettorale degli Stati Uniti che simulava, a seconda della percentuale di latinos che avrebbero potuto votare nel paese, quali Stati sarebbero andati ad Obama e quali a Romney, prefigurando quindi diversi scenari a seconda dell’impatto di questa importante fetta dell’elettorato.

Non è quindi una sorpresa che la rielezione di Obama dovesse passare, come è stato, per il voto ispanico.

I dati di un grande e importante sondaggio, l’ ImpreMedia-Latino Decisions Election Eve Poll, condotto su un campione di 5.600 elettori ispanici nei giorni precedenti il voto, ha rivelato, ad esempio, che in Ohio Obama avrebbe raccolto un consenso record tra i latinos (82% contro il 17% per Romney), così come in Florida, seppur con numeri meno clamorosi. E anche in Europa ormai si sa che chi vince Ohio e Florida va alla Casa Bianca.

Molti analisti, negli ultimi mesi, avevano ampiamente dimostrato che il margine di vantaggio del candidato democratico si stava assottigliando e la rimonta di Romney era piuttosto decisa. Come spesso accade nelle elezioni americane, a ridosso del voto, i due candidati si sono avvicinati a una situazione di pareggio affidando ai cosiddetti “Stati in bilico” (Battlegrounds States) un forte ruolo nell’assegnazione del numero di grandi elettori necessari alla vittoria. E proprio alla vigilia del voto era chiaro a molti che la vittoria di Obama sarebbe stata possibile solo se, negli Stati in bilico, i latinos avessero votato in massa per Obama.

La rielezione di Obama, dunque, non è stata certa fino all’ultimo. Obama ha vinto ma con un margine assai ristretto e nonostante un forte spostamento di voti dai Democratici ai Repubblicani.

Il New York Times, ad esempio, offre un’interessante analisi geografica del voto americano, misurando gli spostamenti da destra a sinistra e da sinistra destra dell’elettorato americano. Le mappe mostrano chiaramente come, rispetto al 2008, un gran numero di elettori si sia spostato dai Democratici ai Repubblicani nella maggioranza degli Stati.

Ma questa emorragia di voti dai Democratici ai Repubblicani non è bastata a Romney per vincere. E il motivo è da ricercarsi proprio nel voto degli ispanici che, negli Stati in bilico, è stato decisivo per far rieleggere Obama.

In Colorado, ad esempio, Obama ha ottenuto il 74% del voto latino, contro il 61% del 2008. Anche in Florida, Stato in bilico per eccellenza, Obama ha ottenuto il 60% del voto ispanico, contro il 58% del 2008 e il “magro” 44% che ottenne il democratico John Kerry nel 2004.

Il consenso maggiore che Obama è riuscito a ottenere tra l’elettorato latino è in parte connesso anche con i cambiamenti demografici della popolazione ispanica. Sempre il New York Times, ad esempio, confronta territorialmente in Florida l’aumento della popolazione ispanica tra il 2008 e il 2011 e gli spostamenti a favore dei Democratici nel voto presidenziale. Laddove è cresciuta la popolazione ispanica sono aumentati i voti per i Democratici.

Fonte: New York Times

Fonte: New York Times

Ma questa, come si è detto, non è l’unica ragione, né la più rilevante. In altri Stati, dove pure la popolazione ispanica è aumentata, Obama non è riuscito a conquistare in maniera decisa l’elettorato ispanico. O meglio, lo spostamento elettorale dai Democratici ai Repubblicani è stato più forte. E’ il caso ad esempio del Texas dove, a fronte di un importante aumento della popolazione ispanica negli ultimi 5 anni, Obama ha raccolto circa 200.000 voti in meno rispetto al 2008, passando dal 43,8% al 41,4 % dei consensi totali (Fonte Associated Press per La Repubblica.it).

Ciò che sicuramente sembra sia stato decisivo per Obama è la sua campagna elettorale, iniziata da mesi a suon di provvedimenti legislativi e conclusasi con numerosi interventi e convention proprio negli Stati chiave e proprio con attenzione all’elettorato ispanico.

Immigrazione ed Economia sono i temi che l’elettorato ispanico ha segnalato come i più rilevanti e sui quali si è giocata la fiducia a Obama: secondo i dati dell’ImpreMedia-Latino Decisions Election Eve Poll, per l’88% degli intervistati questi due erano i temi fondamentali su cui misurare e scegliere il futuro inquilino alla Casa Bianca.

Lo stesso sondaggio, peraltro, rivela anche più in dettaglio come hanno votato i latinos, a seconda della generazione migratoria (nati negli USA e naturalizzati), della cultura latina di origine (messicani, cubani, portoricani, sudamericani, centroamericani, dominicani), del genere, del livello di reddito e della lingua parlata (inglese o spagnolo). I dati raccolti dal campione di 5.600 latinos intervistati offrono alcuni spunti interessanti:

tra i latinos i maggiori sostenitori di Obama sono state le donne (77% del consenso contro il 73% dichiarato dagli intervistati uomini), gli ispanici con redditi più bassi e i naturalizzati (80% per Obama rispetto al 71% dichiarato dagli ispanici di seconda generazioni nati negli Stati Uniti). Interessanti anche i dati sul background nazionale, perché quando si parla di latinos non si parla di un’unica nazione di origine: i messicani intervistati hanno dichiarato di votare per Obama nella misura del 78%, così come l’83% dei portoricani, il 96% dei dominicani, il 76% dei centroamericani, il 79% dei sudamericani ma solo il 44% dei cubani che invece hanno espresso maggiori preferenze per Romney (54% degli intervistati).

In conclusione il voto americano permette alcune riflessioni interessanti. Da un lato, il peso del consenso ispanico è stato determinante e la strategia repubblicana di parlare principalmente all’elettorato bianco, seppur in parte utile a spostare un gran numero di voti, non si è rivelata sufficiente. Questo perché il peso ispanico dell’elettorato è in forte crescita. Dall’altro lato però, un’analisi più attenta dei risultati, anche in prospettiva storica, mostra come il voto ispanico non sia scontato per Obama. Il consenso che l’entourage democratico ha saputo costruire da molti mesi è stato determinante in alcuni Stati chiave ma molti, troppi, elettori americani hanno abbandonato Obama in questa avventura del 2012.

Dati del voto popolare alla mano, Obama ha perso dal 2008 al 2012 la bellezza di 7.409.368 voti, mentre Romney ha perso soltanto 1.165.103 voti rispetto a quelli presi da McCain nel 2008. Nonostante ciò Obama, che ha fortemente “ispanizzato” il suo consenso, è riuscito a mantenere gli equilibri ipotecando però la sua azione di governo dei prossimi anni sui temi cari all’elettorato latino, ovvero economia, lavoro e immigrazione. E’ quindi adesso che comincia la sfida più dura per il secondo mandato di “Obama l’ispanico”, che dovrà, per forza di cose, operare su due fronti: da un lato recuperare quei sette milioni di americani che lo hanno abbandonato e, dall’altro, confermare le attese dei latinos che, in fin dei conti, hanno permesso la sua rielezione alla Casa Bianca.