La disoccupazione giovanile: un problema strutturale europeo

Segnaliamo l’articolo di Cecilia Navarra, post-doc fellow al Centre de Recherche en Economie du Développement (CRED) dell’Università di Namur (Belgio), pubblicato sul sito dell’Aspen Insitute.

Un recente comunicato dell’istituto di statistica tedesco ha segnalato un aumento del 13% dell’immigrazione in Germania tra il 2011 e il 2012, non controbilanciata da altrettanta emigrazione. La crescita vede in testa alla classifica greci, portoghesi, italiani e spagnoli, che hanno aumentato di circa il 40% gli ingressi in Germania. Questi nuovi immigrati hanno dieci anni meno della media della popolazione tedesca e, nella maggior parte dei casi, una laurea. Il ritorno in termini corposi del fenomeno dell’emigrazione dal sud al nord dell’Europa è un’incognita che pesa sul futuro del continente, e allo stesso tempo una prova della perduta convergenza economica tra i paesi membri dell’UE.

La questione della disoccupazione e della sotto-occupazione giovanile in Europa è legata a fattori che precedono la crisi economica attuale. Il decennio pre-crisi è stato infatti caratterizzato da una fragilità “strutturale” dei giovani sul mercato del lavoro, spesso non presa in carico dai sistemi di welfare. Le ragioni di una tale debolezza sono varie: da un capitale umano meno “specifico” (che non ha ancora avuto il tempo di adattarsi alle esigenze delle imprese), a minori costi di licenziamento per i datori di lavoro. Nel 2008, la disoccupazione degli under 25 europei era comunque circa doppia rispetto a quella dell’intera popolazione, ma sono pochi gli stati (Germania, Finlandia, Irlanda, Svezia) in cui i giovani hanno accesso a sussidi pieni quando si affacciano sul mondo del lavoro. Se è vero che la disoccupazione giovanile è diminuita nel decennio precedente il 2008 (nei paesi OCSE dal 16% della metà degli anni ’90, al 14% della metà degli anni 2000), sono però rimasti indietro almeno due gruppi deboli: quelli che l’OCSE definisce left behind youth (giovani senza diploma, spesso appartenenti a minoranze, e provenienti da aree svantaggiate) e i poorly integrated new entrants (giovani qualificati, ma impossibilitati a raggiungere una posizione stabile sul mercato del lavoro).

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