Spunti per la lettura del volume La Governance dell’immigrazione: diritti ,politiche e competenze
di Francesca Biondi Dal Monte e Massimiliano Vrenna
“Sono trascorsi quasi quindici anni dal primo intervento sistematico in materia di immigrazione realizzato dal legislatore italiano, vale a dire la legge Turco-Napolitano del 1998 […]. Un periodo di tempo che costituisce un arco temporale sufficiente per guardare con un certo distacco a come si è evoluta la risposta delle istituzioni statali e locali di fronte al fenomeno dell’immigrazione e a come sono cambiate le politiche in materia”.
Esordisce così l’introduzione del nuovo volume curato da Emanuele Rossi, Francesca Biondi dal Monte e Massimiliano Vrenna La Governance dell’immigrazione: diritti politiche e competenze, Il Mulino, 2013. Il volume vuole illuminare con un’analisi trasversale l’evoluzione della governance italiana dell’immigrazione, alla luce della normativa statale successiva al testo unico, della recente legislazione regionale, delle spinte provenienti dall’Unione Europea e del contributo della giurisprudenza, soprattutto costituzionale.
Anche dal recente dibattito in corso emerge con chiarezza la ineludibilità di un ripensamento del meccanismo di governance dell’immigrazione. Lo scritto che presentiamo intende sottolineare alcuni ambiti principali di intervento suggeriti dal volume e che possiamo così riassumere: i criteri di ripensamento del testo unico, la ridefinizione delle risorse economiche, le modifiche specifiche su ingressi, amministrazione e accesso ai diritti sociali.
Una nuova architettura per il Testo unico dell’immigrazione
Il testo unico in materia di immigrazione (d.lgs. 286/1998), modificato e novellato più volte negli ultimi anni, è espressione e punto di incontro di una grande complessità istituzionale e di competenze. Nonostante il testo unico sia stato adottato in epoca antecedente alla riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, a tale legislazione occorre ancora far riferimento anche per quanto attiene alle discipline settoriali regionali e alla loro relazione con la normativa statale: la salute, la formazione professionale, l’accesso alla casa, le prestazioni sociali e così via. E ciò sebbene con la riforma del titolo V sia stata attribuita allo Stato la sola competenza legislativa esclusiva in tema di «immigrazione» e «diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea».
Tale attribuzione, all’apparenza così tassativa, è stata circoscritta dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 300 del 2005, avente ad oggetto una delle prime leggi regionali in materia di immigrazione (legge regionale Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 5), tenendo conto del fatto che l’intervento pubblico non si limita al doveroso controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti come l’assistenza, l’istruzione, la salute, l’abitazione: materie che intersecano competenze statali e regionali, in forma esclusiva, concorrente o residuale. Ciò ha permesso alle regioni di sviluppare articolate politiche regionali e proprie legislazioni di settore. In tale quadro viene tuttavia da chiedersi quale efficacia debba oggi riconoscersi alle disposizioni del testo unico che incidono su competenze regionali, nella difficoltà di leggere con gli occhi del presente una normativa adottata nell’ambito di un quadro competenziale differente.
Una riscrittura del testo unico dovrebbe oggi tenere conto del nuovo assetto costituzionale e dei principi affermati nell’ormai consolidata giurisprudenza costituzionale, riscrivendo la normativa sulla base della corretta distribuzione competenziale tra Stato e Regioni e predisponendo i necessari meccanismi di raccordo tra i diversi livelli di governo. Aspetto connesso ma distinto è quello dei principi fondamentali della materia. L’art. 1, comma 4, del testo unico autoqualifica le disposizioni del testo unico come princìpi fondamentali nelle materie di competenza legislativa delle regioni. Ma tale disposizione è stata adottata nell’ambito del previgente assetto costituzionale e oggi può essere invocata esclusivamente nell’ambito delle materie di competenza concorrente regionale e in riferimento a disposizioni che possono effettivamente qualificarsi come principi fondamentali della materia. Al più, nelle materie residuali le disposizioni del testo unico potrebbero essere lette nell’ottica della competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (ex art. 117, comma 2, lett. m). Un chiarimento in tal senso è auspicabile, anche nell’ottica dell’eventuale finanziamento delle prestazioni concernenti la garanzia di tali livelli.
Le risorse finanziarie
Il tema delle risorse finanziarie dedicate e delle spese in materia di immigrazione è fondamentale innanzitutto per contrastare posizioni demagogiche in tema di denaro pubblico e migranti, oltre a rappresentare il necessario complemento di qualunque riscrittura della normativa in materia.
Le ultime parziali analisi ufficiali sull’argomento risalgono ormai a un decennio fa con i due rapporti della Corte dei conti dedicati al controllo della gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione. La frammentazione amministrativa e l’approccio ideologico che ha caratterizzato il fenomeno del governo dell’immigrazione si riflettono anche sulle risorse finanziarie che sono state dedicate a tale materia. Non è possibile ridurre l’analisi a un singolo fondo dedicato come il fondo per le politiche migratorie, originariamente istituito dalla legge 40 del 1998, o al fondo per l’inclusione sociale, istituito nel 2007 e successivamente dichiarato incostituzionale. Sono infatti molteplici le risorse finanziarie che si sono riversate sulla materia nel corso degli ultimi anni, sia di provenienza statale sia europea, queste ultime in fase di ripensamento e già oggetto di analisi da parte della Corte dei Conti dell’Unione europea (si veda il rapporto).
Sul versante nazionale non si può non considerare quello che rappresenta un cospicuo canale di finanziamento degli ultimi anni: per la protezione civile, cui sono state affidati molti degli interventi di prima accoglienza così come la costruzione di centri di detenzione amministrativa. Va ricordato che nel nostro Paese, da numerosi anni, molti aspetti dei flussi migratori sono trattati come una calamità naturale e disciplinati con ordinanze di protezione civile grazie a dichiarazioni di emergenza prorogate di anno in anno. La caratteristica di tale normativa è ancora una volta quella della scarsa chiarezza e dei complessi rimandi contabili. Basti citare l’art. 6, comma 3, dell’ordinanza del 18 febbraio 2011, in base al quale: “Il Commissario delegato è altresì autorizzato ad utilizzare le eventuali risorse finanziarie di competenza regionale, fondi comunitari, nazionali, regionali e locali, comunque assegnati o destinati per le finalità di cui alla presente ordinanza”.
La gestione emergenziale che ha caratterizzato l’intervento statale negli ultimi anni pone delicati interrogativi sull’allocazione delle risorse finanziarie dedicate all’immigrazione e alla protezione internazionale dal momento che, così come si è sviluppata, ha sottratto ingenti risorse economiche ad un controllo contabile chiaro e trasparente e, cosa più grave, ha sottratto risorse alla programmazione ordinata degli interventi fino al recente tentativo governativo, vanificato da una sentenza della Corte costituzionale (sent. n. 22/2012), di introdurre l’ennesimo aumento di accise sui carburanti per coprire le spese relative alla cosiddetta emergenza Nord Africa. Merita di essere sottolineata l’argomentazione dell’avvocatura dello Stato nel giudizio citato in base alla quale la “«generale socializzazione» degli oneri finanziari connessi ad eventi emergenziali locali, affermatasi nell’assenza di principi relativi ai profili finanziari e di copertura, avrebbe determinato una progressiva «deresponsabilizzazione» dei diversi livelli di governo – con particolare riguardo alla valutazione della durata dell’emergenza – e la conseguente crescita esponenziale dei flussi di spesa pubblica»”. Argomento davvero singolare considerato che i diversi governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno, come si è visto, perpetuato questa situazione attraverso la proroga dello stato di emergenza1.
Ma è tutta la normativa sull’immigrazione che presenta una difficile ricomposizione economica. Si vedano per esempio le norme di legge sulla copertura finanziaria di alcuni tra i principali provvedimenti assunti negli ultimi anni. Per esempio l’art. 1-ter della legge 102 del 20092, in materia di emersione lavorativa per le attività di assistenza e di sostegno alle famiglie, il quale prevede uno stanziamento di più di 700 milioni di euro per tre anni con una dubbia indicazione ultratriennale della copertura. Al riguardo si consideri anche il decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109, recante l’attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, il cui articolo 16 stanzia, a copertura del decreto, quasi mezzo miliardo di euro3.
In altri contesti invece può essere sottolineato il mancato adeguamento di determinate coperture finanziarie alle mutate esigenze delle autonomie locali o al mutato quadro normativo regionale o europeo. Come esempio si può citare la cifra che annualmente il comitato interministeriale per la programmazione economica stanzia come parte corrente per l’assistenza sanitaria agli stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale, in definitiva per rimborsare le Usl di parte delle spese sostenute per curare stranieri irregolari in possesso di Stp. La cifra è rimasta pressoché identica per un decennio. Ancora più problematico il criterio usato per ripartire la cifra tra le Regioni: numero degli irregolari intercettati sul territorio nazionale e sull’entità della spesa sostenuta per i ricoveri per gravidanza, parto e puerperio avvenuti nell’anno precedente4.
Opportuni correttivi dovrebbero riguardare anche l’allocazione delle risorse disponibili. Eppure basti pensare al contributo per il rinnovo del permesso di soggiorno introdotto dalla L. 94/2009. Se si considera che lo stesso contributo può arrivare a 200 euro e se si moltiplica la cifra per il numero annuale di rinnovi di permessi di soggiorno soggetti allo stesso, si raggiungono cifre rilevanti. Al di là della richiesta, avanzata da più parti, della eliminazione del contributo, conviene interrogarsi anche sulla opportunità e sulla trasparenza di destinazione dello stesso. Il gettito è destinato per il 50% al fondo rimpatri, finalizzato a finanziare le spese connesse al rimpatrio dei cittadini stranieri rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale, e per il 50% al finanziamento delle attività istruttorie del Ministero dell’interno relative al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno. Questa seconda metà a sua volta è cosi ripartita: 20% alla missione “Ordine pubblico e Sicurezza”, 15% alla missione “Amministrazione generale e supporto alla rappresentanza di Governo e dello Stato sul territorio”, per le attività di competenza degli Sportelli unici, 15% alla missione “Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”, per l’attuazione del d.P.R. 179/2011 sull’Accordo di integrazione (la cui disposizione istitutiva presentava al contrario una clausola di invarianza finanziaria: “all’attuazione di tale previsione si provveda con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”). Perché non destinare parte del gettito derivante dal contributo alle regioni e agli enti locali, per interventi di integrazione sociale, politica e culturale degli immigrati, ripartiti con decreto interministeriale e d’intesa con la Conferenza Unificata? Una parte di tali risorse potrebbe infine essere impiegata per la gestione di un apparato pubblico che “gestisce l’immigrazione” oggi disperso e frazionato. La stessa allocazione delle risorse dovrebbe seguire il corretto riparto di competenze che la riforma del titolo V della Costituzione e la giurisprudenza della Corte costituzionale sono andati delineando non solo nella materia «immigrazione» ma più in generale in tema di finanza e di fondi. Dunque la ricomposizione della spesa pubblica in questa materia è il necessario complemento alla riscrittura della disciplina statale sull’immigrazione.
Ingressi: un sistema da ripensare oltre il “click day”
Tra gli aspetti del testo unico che necessitano di maggiori revisioni ve n’é uno che ha raccolto critiche davvero trasversali: la disciplina delle modalità di ingresso per lavoro sul territorio nazionale.
Il tema è stato affrontato approfonditamente da molti autori che hanno messo in evidenza le difficoltà, le incongruenze e l’inefficienza di un sistema amministrativo che fatica a cogliere l’obiettivo di un ordinato ed efficace incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Qui è sufficiente dire che le modifiche normative dovranno tenere in considerazione alcuni elementi tra i quali si suggerisce:
- Un’apertura a forme di migrazione temporanea. Si è consapevoli delle critiche che sono state mosse a questo tipo di politica degli ingressi (per una panoramica M. De Somer, Trends and Gaps in the Academic Literature on EU Labour Migration Policies, 2012, www.ceps.eu) ma tali programmi, se ben costruiti e supportati da meccanismi di incentivi e disincentivi, possono essere un importante veicolo di ingresso legale. Essi possono rappresentare un valido sistema di circolarità lavorativa intermediterranea, di circolarità professionale, all’interno di uno schema di return finance e di cooperazione internazionale. Molti autori hanno indagato questi sistemi e molti sono i suggerimenti che si possono trarre dalla letteratura sul tema.
- Una particolare attenzione all’immigrazione altamente qualificata con una semplificazione delle procedure e una fluidificazione dei passaggi da uno status all’altro oggi, al contrario, pensati come compartimenti non comunicanti: studio, dottorato, ricerca, lavori altamente qualificati. Il tutto alla luce delle potenti spinte all’innovazione che i migranti possono apportare allo sviluppo economico e tecnologico del nostro paese e dell’Unione.
- Una maggiore autonomia regionale o macroregionale nella determinazione e nella selezione dei profili lavorativi maggiormente richiesti.
Non più percorribile sembra la strada dei decreti flussi legati ai cosiddetti click day. Al riguardo è interessante evidenziare che la VI sez. civile della Cassazione, con ordinanza n. 9026 del 12 aprile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione al meccanismo del click day per il bonus ricerca5. Certo si tratta di una materia lontana dall’immigrazione ma le considerazioni svolte dalla Suprema Corte sono applicabili a quello che è il principali meccanismo di selezione per gli ingressi per lavoro in Italia. Al riguardo la Corte afferma che: “la risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili [nel nostro caso sono i posti disponibili, ndr] e domande, l’ampiezza del numero dei concorrenti, la velocità dei meccanismo di trasmissione informatica determina una selezione sostanzialmente casuale, che si esaurisce in un tempo brevissimo e produce risultati dipendenti prevalentemente dalla potenza e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche di cui dispongono i singoli o i professionisti che li assistono. Ciò determina una disparità di trattamento di situazioni eguali in base ad un criterio di priorità cronologica che, per le sue concrete modalità di attuazione, non appare ragionevole”. Nei prossimi mesi è attesa la pronuncia della Corte costituzionale.
Più in generale si deve infine considerare che l’esigenza dei paesi e dei cittadini ospitanti di limitare i flussi e selezionare gli ingressi è legittima, cosi come è fondamentale accogliere chi rischia la vita e la libertà nel proprio paese. Per tale ragione è opportuno dosare un mix di strumenti che disincentivino la clandestinità ma che prendano anche atto che politiche eccessivamente restrittive producono clandestinità e diventano inefficaci per tutti gli stakeholders coinvolti. Come è stato efficacemente scritto, “se alla programmazione degli ingressi crediamo poco noi … è naturale che i destinatari cerchino di aggirarla ….” (A. Colombo, Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia, Il Mulino, 2012).
Migliorare la macchina amministrativa
Per ciò che concerne il generale ripensamento dell’apparato amministrativo delegato alla gestione dell’immigrazione, vanno riscontrate ancora una volta una serie di modifiche che faticano a trovare un quadro organico e sistematico. Si pensi alle molte misure assunte nel 2011 e nel 2012 per arginare la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito l’Europa e che stanno profondamente ridisegnando l’assetto degli enti locali. Senza ricostruire in questa sede la lunga serie di atti legislativi possiamo però ricordare in ordine sparso che la spinta riformatrice ha imposto una profonda revisione istituzionale e funzionale delle province, la fusione o l’esercizio associato di molte funzioni nei comuni più piccoli. Anche in questo caso si è osservato che la vorticosa e a tratti confusa fase riformatrice delle autonomie renderebbe poco opportuno un trasferimento tout court delle competenze legate al permesso di soggiorno in questo periodo. Si tenga conto anche che la materia immigrazione è tradizionalmente collocata, certo con delle eccezioni, all’interno del settore sociale e dunque le relative strutture amministrative non potranno non subire le medesime trasformazioni anche organizzative a cui tutto il settore sociale sta andando incontro. Merita infine un cenno anche la riorganizzazione delle prefetture imposta sempre dai provvedimenti di «spending review», le quali sono destinate a essere accorpate per territori molto più vasti. Ci si chiede dunque quale sarà la sorte di due istituti che proprio in seno alle prefetture avevano trovato collocazione: i consigli territoriali per l’immigrazione e soprattutto gli sportelli unici per l’immigrazione. Se i primi possono facilmente essere riparametrati, per la loro natura aperta e partecipativa, su porzioni territoriali più piccole come per es. le zone distretto o le unioni di comuni, i secondi sono al contrario uno dei gangli fondamentali su cui l’amministrazione ha puntato negli ultimi 10 anni per la gestione amministrativa delle pratiche di immigrazione e per la semplificazione dei procedimenti. Si avverte pertanto la necessità di un ripensamento complessivo della macchina burocratica che sovrintende all’immigrazione e i profondi cambiamenti che stanno interessando la pubblica amministrazione a tutti i livelli negli ultimi anni potrebbero essere una preziosa occasione per ridisegnare i percorsi amministrativi in senso più efficace e più vicino ai milioni di utenti interessati6. Vale la pena ricordare anche che la legislazione più recente offre numerosi addentellati, fin qui non ancora sviluppati, che potrebbero essere utilizzati per favorire la semplificazione della certificazione e delle procedure, la trasmissione e interconnessione dei dati tra pubbliche amministrazioni, la condivisione delle banche dati che riguardano l’immigrazione.
Non discriminazione e accesso alle prestazioni sociali
Altro settore in attesa di una completa riscrittura riguarda quello delle prestazioni di natura sociale, in più occasioni oggetto di scrutinio – e sanzione – da parte della Corte costituzionale, con specifico riferimento ai criteri di individuazione dei destinatari delle prestazioni. Oggetto delle recenti questioni di legittimità costituzionale è stata la previsione introdotta dalla legge finanziaria per il 2001 (art. 80, comma 19, l. 388/2000), volta a circoscrivere i destinatari delle prestazioni ai soli titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo (permesso Ce), che, come noto, presuppone il possesso di requisiti più stringenti rispetto a tutte le altre tipologie di permesso. La sentenza n. 306 del 2008 ha aperto un filone giurisprudenziale caratterizzato da ripetuti interventi che, come affermato dalla Corte stessa «sono venuti ad assumere incidenza generale ed immanente nel sistema di attribuzione delle relative provvidenze», nel perdurante silenzio del legislatore. A seguito di tali interventi la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle condizioni di accesso ad alcune specifiche prestazioni di natura sociale (indennità di accompagnamento, pensione di inabilità, assegno di invalidità, indennità di frequenza): ciononostante manca tuttora una correzione in via legislativa del sistema di accesso a tali prestazioni (e alle altre prestazioni previste dalla legge) che risulti coerente con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale.
La sentenza n. 306 è una decisione significativa per più ragioni. Al di là del caso concreto che ha riguardato l’estensione a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti dell’indennità di accompagnamento (riservata dalla legislazione nazionale ai soli titolari del permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo), in essa la Corte precisa che il divieto di discriminazione degli stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato è norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, ai sensi dell’art. 10, comma 1, Cost. In particolare la Corte fa rientrare nell’art. 10, comma 1, Cost. le norme che «nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato», riconoscendo quindi rango costituzionale a tale principio.
In più occasioni la Corte ha affermato che l’esclusione assoluta di intere categorie di persone fondata o sul difetto del possesso della cittadinanza (italiana o europea), ovvero su quello della mancanza di una residenza temporalmente protratta per almeno trentasei mesi, non risulta rispettosa del principio di uguaglianza. Con specifico riferimento alle prestazioni di natura sociale, deve infatti sussistere una «ragionevole correlabilità» tra le condizioni positive di ammissibilità al beneficio e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze «che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale» (sent. 40/2011; al riguardo si vedano anche le sentenze nn. 432/2005; 11/2009; 187/2010; 329/2011; 40/2013).
1 Al fine di arginare questo fenomeno il d.l. 59/2012, convertito dalla l. 100/2012, ha modificato l’art. 2 della legge 225/1992 riformulando i casi in può essere dichiarata lo stato di emergenza, riferendosi a “c) calamità naturali o connesse con l’attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. Viene inoltre specificato che al nuovo articolo 5, comma 1bis, che la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può, di regola, superare i sessanta giorni. Uno stato di emergenza già dichiarato, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri, può essere prorogato ovvero rinnovato, di regola, per non più di quaranta giorni.
2 La disposizione prevede che: “Agli oneri netti derivanti dal presente articolo, pari a 77 milioni di euro per l’anno 2009, a 294 milioni di euro per l’anno 2010, a 371 milioni di euro per l’anno 2011 e a 321 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012, si provvede, quanto a 60 milioni di euro per l’anno 2009, a valere sulle maggiori entrate assegnate al bilancio dello Stato dal decreto di cui al comma 14 e, quanto a 17 milioni di euro per l’anno 2009, a 294 milioni di euro per l’anno 2010, a 371 milioni di euro per l’anno 2011 e a 321 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012, mediante corrispondente riduzione dei trasferimenti statali all’INPS a titolo di anticipazioni di bilancio per la copertura del fabbisogno finanziario complessivo dell’ente, per effetto delle maggiori entrate contributive derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo”.
3 La disposizione prevede che: “Agli oneri netti derivanti dal presente articolo, pari a 43,55 milioni di euro per l’anno 2012, a 169 milioni di euro per l’anno 2013, a 270 milioni di euro per l’anno 2014 e a 219 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, si provvede, quanto a 43,55 milioni di euro per l’anno 2012 a valere sulle maggiori entrate assegnate al bilancio dello Stato dal decreto di cui al comma 14 e, quanto a 169 milioni di euro per l’anno 2013, a 270 milioni per l’anno 2014 e a 219 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, mediante corrispondente riduzione dei trasferimenti statali all’INPS a titolo di anticipazioni di bilancio per la copertura del fabbisogno finanziario complessivo dell’Ente, per effetto delle maggiori entrate contributive derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo.
4Peraltro il recente D.p.c.m. 21 marzo 2013, n. 58 Regolamento di attuazione dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, riguardante i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell'interno di durata superiore a novanta giorni (GU n.122 del 27-5-2013) ha fissato in 180 gg. il termine di pagamento di per le spese di spedalità per indigenti e privi di iscrizione al servizio sanitario nazionale.
5 Si veda anche Sentenza 19 febbraio 2013 n. 1868 del Tar Lazio che ha dichiarato illegittimo il click day Inail del 12 gennaio 2011 per l’assegnazione dei fondi per il finanziamento di progetti volti a migliorare i "livelli di salute e sicurezza sul lavoro" da parte delle imprese.
6 Castagnone, F. Pastore, V. Premazzi ed E. Salis, Oltre l’immigrazione«low cost». Contributo alla definizione degli obiettivi di una nuova politica migratoria per l’Italia, 2012, www.fieri.it.