di Asher Colombo – 27 novembre 2009 [1]
Pochi osservatori ed esperti nutrono oggi dubbi sul fatto che l’emersione collegata alle norme anticrisi emanate da Tremonti nell’agosto di quest’anno – tra sanatorie, regolarizzazioni e decreti flussi estesi, di fatto il settimo allargamento straordinario dal 1986 – sia stata un fallimento, o un flop. Al momento della sua chiusura, il 30 settembre, le domande inviate erano, infatti, “solo” 294.744.
Nonostante le smentite a posteriori da parte dello stesso ministero, i numeri previsti tanto dai promotori del provvedimento che dagli esperti – in particolare la Caritas – erano di gran lunga superiori e si aggiravano tra 500 e 750 mila. L’analisi dei dati degli ultimi decreti flussi, compreso il già menzionato allargamento straordinario del decreto flussi del 2006, mostra però che mai come in questo periodo si assiste a una corsa alla sopravvalutazione del fenomeno della presenza straniera nel nostro paese e delle dimensioni degli ingressi. A questa sopravvalutazione contribuiscono, paradossalmente, tanto il governo – che apparentemente avrebbe buone ragioni per adottare strategie di banalizzazione del fenomeno – quanto organizzazioni fortemente impegnate “nel sociale”, in particolare nel sostegno e nell’intervento a favore delle fasce deboli dell’immigrazione italiana, ma dotate anche di ampio spazio e autorevolezza mediatica, prima fra tutte la Caritas. La tradizionale idiosincrasia tutta italiana per un uso condiviso e non puramente retorico e strumentale dei dati statistici si unisce forse, in questo caso, a strategie dell’emergenza migratoria utili agli attori politici in campo. Eppure, anche se il fenomeno ha certo dimensioni rilevanti, l’analisi di quanto accaduto negli ultimi anni mostra che non è né utile né corretto assumere che, come fa ancora l’ultimo Dossier della Caritas sull’immigrazione, le domande presentate negli ultimi decreti flussi si traducano sic et simpliciter in rilasci di permessi di soggiorno. I dati mostrano, all’opposto, che la realtà è molto diversa.
Si può affermare che le sei sanatorie che hanno preceduto quest’ultima, abbiano funzionato, se esaminate sotto il profilo della loro capacità di assorbire e regolarizzare chi aveva la volontà di farlo. Non senza alcune oscillazioni, in queste sanatorie la quota di domande accolte sul totale di quelle presentate ha variato da un minimo di 70%, nel caso della Turco-Napolitano del 1998, al 92% della Bossi-Fini fino al 96% della Dini del 1998. Quanto all’allargamento del decreto flussi del 2006 stabilito dal governo Prodi, invece, i dati presentati nella tabella compilata a partire da informazioni raccolte presso il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, mostrano che oltre un terzo delle domande pervenute è stata respinta. Si è trattato, quindi, della sanatoria più selettiva tra quelle lanciate fino a quel momento, almeno quanto a capacità di filtro della legittimità delle domande pervenute. Eppure questa sanatoria segnalava anche un fatto nuovo, messo in luce nei tentativi di studiarne le caratteristiche come quello condotto nel Primo rapporto sull’immigrazione pubblicato nel 2007 dal Ministero dell’interno, ma rimasto sostanzialmente senza spiegazioni soddisfacenti. In questo provvedimento, infatti, si rilevava una quota non del tutto trascurabile, di poco inferiore a un quinto, di visti rilasciati – quindi di domande accolte – che non si era tradotta nel rilascio dei corrispondenti permessi di soggiorno. L’anticipazione di una tendenza che si sarebbe consolidata negli anni successivi.
L’anno dopo abbiamo il ben noto decreto flussi con i tre click day. Il numero di domande pervenute supera perfino quello del decreto flussi allargato dell’anno precedente: oltre 741 mila, di cui poco oltre 140 mila da parte di datori di lavoro di lavoratrici domestiche, destinatarie specifiche di uno dei tre “click day”. Non trattandosi di una sanatoria, ma di un decreto flussi che prevedeva per quell’anno 170 mila posizioni, è facile calcolare quanto alto sia stato il numero degli esclusi dal provvedimento. Ma prima di questo è bene anche dire che, a tutt’oggi, e quindi ancora di più al momento dell’uscita del provvedimento di emersione dell’agosto 2009, solo una parte di queste domande è stata vagliata e, quindi, accolta o respinta. Allo stato tra nulla osta rilasciati e domande non accolte si arriva a oltre 233 mila domande vagliate, pari a meno di un terzo. Questo numero sovrastima lievemente il numero delle domande esaminate perché non si basa sulla somma delle persone ma degli esiti delle domande stesse ed è stato ottenuto sommando due entità non mutuamente esclusive, ovvero quella degli esiti negativi delle Direzioni Provinciali del Lavoro e delle Questure che possono trattare contemporaneamente le istanze ricevute. Di fatto, quindi, la quota di domande lavorate, a due anni di distanza dalla chiusura dei click day, è, al massimo, pari a un terzo, forse un po’ meno, del complesso di quelle presentate. Ma, come nel caso del decreto del 2006, anche qui solo alcuni permessi sono stati effettivamente richiesti. Delle oltre 230 mila domande esaminate, un terzo è stato respinto, e dei poco più di 150 mila nulla osta rilasciati, solo due terzi hanno dato luogo a richieste di rilascio di permesso di soggiorno.
La situazione per certi versi precipita l’anno successivo, in occasione dell’uscita del decreto flussi del 2008. Il decreto metteva a disposizione 150 mila posti, ma le domande superarono quota 380 mila. Che ne è di queste domande oggi? Allo stato meno di un decimo è stata esaminata, e metà di quelle esaminate è stata respinta. Ma anche in questo caso solo una piccolissima parte delle domande accolte si è tradotta in richieste di permessi di soggiorno: 1.600 (pari allo 0,4% delle istanze presentate e all’8% dei nulla osta rilasciati).
è difficile spiegare le ragioni di questo fenomeno. Ma qualunque sia il motivo, è chiaro che la macchina delle regolarizzazioni presenta problemi, e che la capacità di far uscire dal sommerso, assai solida fino al 1998, dà oggi segni di cedimento. Ma ci sono forse anche altre ragioni. I dati, infatti, non si limitano a mostrare una crescita della selettività dei provvedimenti di sanatoria o di ingresso per motivi di lavoro. Mostrano anche una crescita dei nulla osta rilasciati che non si traducono in permessi di soggiorno. Questo suggerisce che anche una parte di coloro ai quali viene aperta la porta decide di non entrare. è possibile allora ragionare su due ipotesi (per un”analisi più approfondita, rinviamo alla versione estesa di questo contributo PDF). La prima è che i sistemi migratori che interessano l’Italia siano cambiati nel corso dell’ultimo decennio, perché alcuni di questi stanno trasformandosi in migrazioni da insediamento, con maggiore stabilità e minore disponibilità a lavori sub standard, mentre altri hanno carattere temporaneo e possono adottare strategie di rientro anche piuttosto rapido o di spostamento verso altre destinazioni, a fronte di un peggioramento del contesto in cui operano, o anche solo della difficoltà di ottenere rapidamente una risposta– positiva o negativa – alla richiesta di nulla osta. La seconda, collegata comunque alla precedente, è che potrebbe essere in corso una ricollocazione dell’Italia nel sistema migratorio dell’Europa mediterranea e, di conseguenza, una relativa riduzione della dinamicità dei flussi che riguardano specificamente il nostro paese, un cambiamento messo in luce dal confronto con paesi dalla storia migratoria simile al nostro. Partendo da una situazione del tutto simile alla nostra, la Spagna, per esempio, ha visto crescere il proprio stock migratorio assai più dell’Italia negli ultimi sette anni.
[1] L’autore ringrazia il dott. De Andreis e il dott. Ciuni del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno per l’aiuto nel reperimento dei dati e nella loro interpretazione. Ringrazie anche Tiziana Caponio e Ferruccio Pastore con cui, in più occasioni, ha discusso i temi trattati in questo intervento. Resta solo mia, evidentemente, la responsabilità di quanto scritto nel presente articolo. Una versione ridotta di questo articolo, priva di note e tabelle, sarà pubblicata sul numero 6/2009 della rivista “Il Mulino”.