A cura di Roberta Ricucci, con la collaborazione di Barbara Basacco e Elena Bottasso. Febbraio 2011.
Istruzioni per L’uso: vincoli e opportunità della ricerca
Il 2010 è stato proclamato dall’Unione Europea Anno della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Con una certa intempestività, il periodo si avvia in modo paradossale ad essere ricordato tra i più negativi dell’ultimo secolo per il peggioramento dei dati sull’occupazione e sulla condizione economica delle famiglie, in particolare di quelle di ceto medio-basso. Ciò è dovuto soprattutto alla recessione globale che ha colpito con forza le economie del vecchio continente, coniugata peraltro in Italia con una riduzione nella disponibilità di risorse pubbliche per servizi e interventi di tipo sociale, soprattutto a livello locale (Deaglio et al., 2009).
In assenza di conoscenze approfondite sulla situazione sociale del paese, gli inevitabili tagli della spesa sociale potrebbero avere conseguenze gravi sulle persone e i gruppi che si trovano in condizione di particolare vulnerabilità. Ciò vale in generale ma soprattutto per fenomeni sociali fortemente sentiti da tutta la popolazione e carichi di contenuti simbolici e ideologici, come quello dell’immigrazione. La ricerca presentata in questo Rapporto si è propostal’obiettivo di comprendere i modi in cui le famiglie immigrate, in bilico tra esclusione e integrazione, hanno vissuto questi anni di crisi, soprattutto nei casi in cui la lunga permanenza in Italia rende più improbabile la perdita del permesso di soggiorno e il dover rinunciare al proprio progetto migratorio, ma la crisi rischia di rallentare il processo di integrazione. Si tratta delle famiglie che sono vicine al traguardo di acquisire una piena cittadinanza nel nostro paese e che vedono minacciato un progetto di mobilità sociale a cui avevano duramente lavorato. Ovvero, come indica la figura successiva, di un gruppo numeroso che grazie al lavoro ha potuto avviarsi a una progressiva stabilizzazione.
L’inserimento occupazionale ha rappresentato non solo la chiave di volta per la presenza regolare sul territorio, ma anche un tassello importante per poter costruire percorsi di inserimento positivo;negli ultimi anni, tuttavia, esso è messo a repentaglio dalla recessione.
Lo stretto nesso che lega i processi migratori alle sorti dei mercati occupazionali dei paesi di accoglienza torna in primo piano durante i periodi di recessione economica, quando il tema dell’impatto del lavoro immigrato riemerge problematicamente1. La crisi del 1973 ha dimostrato come i primi soggetti ad essere colpiti dalle misure “anti-recessione” siano i lavoratori immigrati e, di conseguenza, famiglie, minori e adolescenti su cui ricadono i contraccolpi dell’espulsione del mercato del lavoro2. E’ stato anche dimostrato come quella crisi non abbia prodotto scelte di rientro nei paesi di origine, né fermato i ricongiungimenti familiari che, anzi, in presenza di politiche di stop all’immigrazione, tendono a intensificarsi.
Oggi, dinanzi ad un mercato del lavoro trasformato rispetto a trent’anni fa, la situazione economica generale si presenta più complessa. Il tasso di disoccupazione degli stranieri ha raggiunto il 12,6% a fine 2009, con un notevole incremento rispetto all’anno prima (8,8%).
L’incidenza degli immigrati sul totale degli occupati è però in aumento, grazie al loro inserimento nei diversi mercati occupazionali.
Sebbene i dati mostrino un quadro ancora da analizzare con attenzione nelle sue ricadute di lungo periodo, la recessione economica non potrà non incidere sulle famiglie di origine immigrata, soprattutto perché colpisce quei settori, come l’industria, l’edilizia privata e le grandi opere, in cui lavorano molti stranieri con qualifiche basse e verso i quali si stanno orientando molti dei loro figli, che hanno intrapreso percorsi di formazione professionale proprio in quei settori.
Le difficoltà nel mercato del lavoro si potranno tradurre, nel caso delle famiglie straniere, non solo in difficoltà economiche, ma anche in problemi nel rinnovo del permesso di soggiorno. E’ possibile inoltre l’emergere o l’acuirsi di tensioni familiari e sociali da tempo latenti, come i conflitti di ruolo fra i coniugi, le incomprensioni fra genitori e figli, i difficili processi di ridefinizione delle identità. Ciò nel senso che la perdita del lavoro di uno o di entrambi i genitori e il venir meno di prospettive di occupazione per i figli, non potranno che aggravare queste tensioni. In altre parole, in periodi di recessione, i rischi di esclusione sociale aumentano anche per coloro che avevano fatto passi significativi verso l’integrazione.
La Ricerca
Cosa sta accadendo in alcune province piemontesi? Quali sono le esperienze delle famiglie immigrate di fronte alla crisi economica? Tentare di rispondere a queste domande è stato uno degli obiettivi della ricerca, attraverso la ricostruzione attenta e, per quanto possibile, sistematica dei dati e delle informazioni disponibili. Il secondo obiettivo è stato quello di indagare se e come le famiglie immigrate stiano fronteggiando difficoltà economiche. Ovviamente si tratta di un’indagine esplorativa, senza alcune pretese né di esaustività né di rappresentatività: la ricerca intende offrire una prima ricognizione su un fenomeno ancora da studiare e indagare nelle sue caratteristiche e dinamiche e su cui non esiste ancora una letteratura.
La variegata realtà dell’immigrazione nelle province piemontesi rappresenta bene la complessità dei fattori in gioco ed insieme l’unicità dei singoli contesti, ciascuno dei quali è il frutto di una combinazione specifica di fattori diversi. Nello specifico, per l’approfondimento della ricerca sono state scelte le province di Asti, Cuneo e Torino. Tre territori che per gli elementi di similarità (aumento del numero di stranieri residenti e loro processo di stabilizzazione, dispersione territoriale, sistema diffuso di servizi del privato sociale) e di differenza (mercati del lavoro prevalentemente agricoli o centrati sul settore dei servizi) che presentano possono garantire uno sguardo sufficientemente plurale alla condizione di vita delle famiglie immigrate in un periodo di difficoltà economico-lavorativa. E’ chiaro come la situazione di Torino si presenti come quella più complessa. Il capoluogo, nel doppio ruolo di luogo di primo approdo e di ambito di stabilizzazione, ha un rapporto ambivalente con l’immigrazione. E’ l’emblema di quella profonda contraddizione che vivono le città meta di immigrazione: “Nei fatti stanno diventando sempre più multietniche, in termini di numero di residenti, partecipazione occupazionale, passaggi al lavoro indipendente, alunni di origine immigrata nelle scuole. Nelle loro rappresentazioni culturali tendono invece a rifiutare tutto questo. Non vogliono essere città multietniche” (Ambrosini, 2010: 75).
La ricerca si è sviluppata attraverso due distinti, ma interagenti, percorsi di analisi e di raccolta di materiale, coinvolgendo, in modo molto attivo, un piccolo gruppo di protagonisti.
Il primo ha riguardato un’ampia e articolata ricognizione sul tema della crisi e sul suo sviluppo nei tre territori considerati. In questo modo, si è cercato non solo di ricostruire il dibattito in corso sul tema, ma soprattutto di individuare le categorie di analisi e le piste di ricerca verso cui si muove lo studio del rapporto fra crisi e immigrazione. Gli spunti e lesollecitazioni emersi dall’incursione nella letteratura specifica sono stati numerosi e necessari per costruire quella “cassetta degli attrezzi” utile per studiare il tema: la raccolta dei dati, l’attenzione alla distribuzione per provenienza, gli ambiti del lavoro e delle relazioni e i loro riflessi sulla definizione dei percorsi di inserimenti, della loro continuazione e/o della loro ridefinizione e nel contesto locale e in quello internazionale (sia il paese d’origine o un altro e nuovo paese di immigrazione), la tematica della marginalità e della precarizzazione o dello sviluppo di nuovi progetti lavorativi, ma anche il rischio della modellizzazione e della reificazione. Si tratta di aspetti su cui ancora manca una riflessione consolidata, ma dei quali è opportuno tenere presente per ipotizzare sviluppi e definire possibili strategie di azione onde prevenire derive di emarginazione e di disaffezione, come la letteratura ha messo in luce.
Un secondo percorso è avvenuto nei servizi pubblici, nelle strutture del privato sociale, nelle associazioni. Una traiettoria di studio affrontata nella consapevolezza di come ogni ricerca sui cittadini stranieri si debba confrontare con le rappresentazioni, sociali e politiche, di tale fenomeno, soprattutto in un contesto, come quello italiano, in cui il tema delle migrazioni ha assunto una rilevanza centrale nel dibattito politico e dove le discussioni sui diversi aspetti della società (casa, lavoro, istruzione, giustizia, welfare) si intrecciano con i costi sociali del fenomeno, tendendo a polarizzare le reazioni. Anche nel contesto italiano stanno emergendo pericolose classificazioni ed identificazioni, che fanno da corollario – di tanto in tanto – al dibattito, scientifico e politico, sul tema: ad esempio, il proverbiale successo dei rumeni a scuola o il destino verso la formazione professionale dei marocchini; le difficoltà linguistiche dei latino-americani che confidando nella consonanza linguistica fra spagnolo e italiano non superano lo stadio dell’apprendimento del linguaggio di base. O ancora, il rispetto e la riverenza nei confronti delle generazioni anziane dei filippini e dei cinesi. Stereotipi e luoghi comuni, che si ritrovano nei commenti di molti operatori e nelle parole degli amministratori, rafforzando un processo di etichettamento che ha origini lontane.
Con questo in mente, si è cercato di raccogliere le voci dei protagonisti: per poter approfondire le dinamiche e le relazioni che si sviluppano fra immigrazione e crisi ci si è concentrati sulle condizioni delle due provenienze, numericamente significative nelle tre province, dei marocchini e dei rumeni. Con la difficoltà di confrontarsi talvolta con un clima di sospetto e di chiusura che ha reso difficile l’incontro con le famiglie e l’accesso alle loro abitazioni.
E’ stato possibile entrare in contatto con un’ottantina di persone, ma si sono raccolte– in senso stretto– 61 fra interviste e storie di vita. Il numero è stato condizionato da due difficoltà: da un lato quella linguistica, che ha reso talune interviste poco più di chiacchierate informali, in cui spesso la mediazione naturale di altri adulti si è resa necessaria e, dall’altra, quella della fiducia.
Non sempre, infatti, gli adulti contattati sono stati disponibili a raccontarsi. In alcuni casi, si è avuta l’occasione di procedere con interviste di gruppo, situazione non ottimale per la raccolta di esperienze personali, ma utile per il confronto su alcune tematiche, come quella della percezione di un clima anti-immigrati, anti-stranieri, anti-islamico, anti-rumeno. Pur riconoscendo la centralità del tema del lavoro, o della sua mancanza, la ricerca non si è limitata ad una lettura del fenomeno dal punto di vista economico, ma ha affrontato altre dimensioni della vita sociale, compresa quella delle reti etniche.
La chiave di lettura principale è stata quella della famiglia; attraverso di essa si sono osservati gli aspetti dell’impatto della crisi sulla vita quotidiana dei migranti, analizzando come le risorse famigliari consentano di costruire strategie di reazione ad una situazione di difficoltà della società nel suo complesso.
In sintesi, attraverso la ricerca, si è cercato di descrivere gli effetti e le ricadute della crisi economica e di delineare una tipologia di strategie di reazione. Per fare questo si è proceduto alla raccolta di storie di vita. I percorsi migratori, i racconti dell’arrivo, dell’inserimento e della progressiva (ed eventuale) stabilizzazione, la ricomposizione/formazione della famiglia, l’acquisto della casa e il successivo radicamento sono alcuni dei temi che fanno da sfondo all’arrivo del periodo di crisi. D’altra parte, le caratteristiche delle reti amicali (miste, solo di connazionali o solo di italiani) e le attività svolte nel tempo libero sono utili indicatori per cogliere abitudini e consumi culturali, nonché il tipo di legame che giovani e adulti vanno maturando con il territorio in cui vivono. Come si evincerà dalla lettura dei capitoli successivi, la chiave di lettura del testo è quella di un processo di integrazione maturo messo in discussione da una normativa che lega permesso di soggiorno e condizione occupazionale. La condizione giuridica rappresenta l’elemento che differenzia famiglie italiane e straniere di fronte alla crisi e anche famiglie rumene e marocchine, oggetto della nostra ricerca. Al netto di questo elemento, ciò che emerge più chiaramente nel confronto fra italiani e stranieri sono le similitudini piuttosto che forti elementi di differenziazione. Già a inizio 2010, del resto, alcuni operatori segnalavano con preoccupazione l’arrivo dell’ultimo scossone che avrebbe messo definitivamente in ginocchio quelle famiglie, straniere e italiane, che sino ad allora erano riuscite a navigare nelle acque turbolente delle difficoltà economiche. E questo, paradossalmente, può essere letto anche come un segnale di integrazione.