La ricerca è stata svolta nell’ambito del Progetto EC-UN n. Al-083 JMDI “For most of it I have no words” del Dipartimento della famiglia e delle politiche sociali, Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro, Regione Siciliana. Scritto da Andrea Pogliano con la collaborazione di Riccardo Zanini e la supervisione di Ferruccio Pastore nel giugno del 2010.
Dall’introduzione al rapporto:
L’argomento di questo lavoro è sintetizzabile in una domanda: quali rappresentazioni delle migrazioni dalla sponda Sud del Mediterraneo il giornalismo italiano, e in particolare il giornalismo visivo, ha prodotto nel tempo? Cercheremo di rispondere a questa domanda interrogando due aspetti: quello dell’immagine dei migranti e quello dell’immagine della complessità del fenomeno migratorio.
Per immagine dei migranti intendiamo qui le rappresentazioni dei soggetti reali (degli uomini e delle donne che hanno affrontato l’immigrazione), i ruoli che sono stati associati ad essi, le etichette (le aggettivazioni, prima di tutto, compiute attraverso le titolazioni e gli altri elementi che compongono il paratesto dei servizi giornalistici) che sono state apposte ad alcune tipologie di migranti.
Per immaginario della complessità intendiamo il legame tra queste immagini e i discorsi che intorno ad esse vanno muovendosi nel tentativo di trovare delle vie giornalistiche per ridurre la complessità e riuscire comprensibili e efficaci nei messaggi proposti e, laddove possibile, anche intriganti e spettacolari. Intendiamo quindi l’immaginario pubblico costruito dall’informazione giornalistica come un continuo intrecciarsi di immagini e discorsi che tendono inevitabilmente verso la stilizzazione e la ripetizione per ottenere i risultati comunicativi attesi dall’industria delle notizie. Partendo da questi presupposti, siamo qui interessati a fornire una rappresentazione dell’immaginario che il giornalismo ha costruito nel tempo in particolare su due argomenti: i viaggi e gli arrivi di migranti attraverso il Mediterraneo e le presenze di immigrati arabi-musulmani in Italia.
Vengono così a costituirsi due intrecci di grande interesse: quello tra il dato geografico e il dato religioso da una parte e quello tra il concetto di mobilità e il concetto di stabilità dall’altra, concetti, questi ultimi, che nella letteratura recente sulle migrazioni sono messi parzialmente in discussione dall’insistenza sul transnazionalismo: dalla visione delle migrazioni come movimenti costanti tra più luoghi e non solo tra paese di origine e paese di destinazione.
Questi due intrecci restano costantemente sullo sfondo delle riflessioni mosse in questo elaborato e agiscono nel testo come moventi. Il giornalismo stesso, raccontando le migrazioni in Italia gioca tra questi intrecci costantemente, delimitando implicitamente delle aree di significato tra stabilità e mobilità, tra zone di provenienza e appartenenza religiosa e proponendo, per ognuna di queste aree, delle immagini di migranti o, se si preferisce, delle “facce da straniero”, per riprendere il titolo del lavoro di ricerca promosso da FIERI e recentemente pubblicato da Bruno Mondadori.
È proprio a partire dall’archivio giornalistico e fotografico costituito in occasione di quella ricerca che prende le mosse questo scritto. Il lavoro che qui si presenta viene quindi inteso da chi scrive come l’occasione per approfondire un aspetto specifico dell’ampio racconto che dell’immigrazione straniera in Italia hanno fornito i media italiani in un periodo di 30 anni. Il primo capitolo servirà per l’appunto aoffrire un sintetico quadro generale di questo racconto, che permetta di “mettere in contesto” i focus tematici sviluppati nei due capitoli che seguiranno.
Questi focus riguardano la mobilità umana (gli arrivi e i viaggi migratori attraverso il Mediterraneo) e la presunta stabilità degli immigrati arabo- musulmani in Italia che, come si vedrà presto, il giornalismo impone allo studioso di trattare in una direzione molto precisa: quella tutta incentrata sul dato dell’appartenenza religiosa.