Contributo alla definizione degli obiettivi di una nuova politica migratoria per l’Italia
Premessa
1. Da alcuni anni, l’Italia si colloca ormai stabilmente ai primissimi posti, se non al primo in assoluto, in Europa, per volumi assoluti di ingressi di immigrati. La crisi ha indubbiamente determinato una frenata nei flussi, ma di portata minore che nel resto della UE. Solo da noi la forza-lavoro straniera non ha mai smesso di crescere, nemmeno nei periodi di recessione. Dal punto di vista statistico, inoltre, nell’ultimo decennio, siamo stati l’unico tra i maggiori paesi europei in cui si è osservata una correlazione sistematicamente negativa tra immigrazione e crescita.
2. Questa specificità italiana è trascurata nel dibattito pubblico, forse anche perché politicamente scomoda; ma si tratta di un dato molto significativo e preoccupante, che richiede di essere analizzato. Il paradosso di una forte immigrazione con crescita debole (o nulla, o persino negativa) si spiega soltanto con il fatto che l’immigrazione in Italia è determinata prevalentemente da fattori demografici, invece che puramente economici. E’ un’immigrazione che nasce in primo luogo dalla necessità di rimpiazzare, almeno in parte, le massicce coorti di lavoratori autoctoni, che mano a mano vanno in pensione. Questo “rimpiazzo esterno” è particolarmente necessario in quei settori e per tutti quei lavori che – per ragioni materiali (condizioni di lavoro dure, retribuzioni basse) e simboliche (scarso prestigio) – i giovani italiani continuano a rifiutare.
3. L’immigrazione in Italia è il prodotto di determinanti demografiche anche in un altro senso. Una componente molto significativa degli afflussi è infatti indotta dalla domanda crescente di servizi di cura da parte delle famiglie, in particolare per l’assistenza alle persone anziane. L’invecchiamento della popolazione, la grave carenza di servizi pubblici in questo campo e la scarsa propensione delle famiglie italiane ad avvalersi di strutture residenziali per anziani hanno creato un boom di domanda di assistenza domiciliare che, in questa fase di crisi, si configura come la causa principale dei nuovi flussi.
4. Un’immigrazione con le caratteristiche appena richiamate presenta vantaggi evidenti nel breve periodo. E’ un’immigrazione che non si pone in concorrenza con l’offerta nazionale sul mercato del lavoro. Essa presenta, inoltre, tassi di attività alti e livelli di disoccupazione bassi, in confronto a ciò che si registra nella maggior parte degli altri paesi europei. Di conseguenza, è anche un’immigrazione particolarmente vantaggiosa dal punto di vista del suo impatto sulla spesa pubblica, poiché permette risparmi importanti (il ”welfare parallelo” delle “badanti”), pur avendo costi relativamente ridotti (bassa domanda di servizi, specialmente in campo sanitario e pensionistico). Infine, il modello migratorio italiano ha un basso costo anche dal punto di vista del governo del fenomeno: basandosi essenzialmente sull’incontro diretto tra domanda e offerta in condizione di irregolarità e su successive regolarizzazioni, può fare a meno di adeguati investimenti in infrastrutture amministrative preposte alla determinazione, selezione e gestione dei flussi legali.
5. I vantaggi a breve termine del modello italiano di “immigrazione low cost” tendono però ad assottigliarsi in tempo di crisi e sono comunque destinati a cedere il passo a crescenti problemi di sostenibilità nel medio-lungo termine. Il protrarsi della crisi e l’ampliamento del suo impatto occupazionale minacciano la stretta complementarietà tra italiani e stranieri sul mercato del lavoro, inducendo alcune fasce di lavoratori nativi a considerare potenzialmente attraenti anche lavori ormai generalmente bollati come “lavori da immigrati”. La crisi, ma anche, da un punto di vista più strutturale, il rafforzarsi della componente infantile e giovanile (e, in prospettiva, anziana), tendono a incrementare i bisogni in campo sociale e la domanda di welfare della popolazione di origine immigrata. Il forte e costante aumento degli stock di soggiornanti, inoltre, dilata anche i costi amministrativi legati alla gestione dell’immigrazione regolare.
6. In un’ottica di lungo periodo, i costi del nostro modello di immigrazione rischiano di crescere anche per un altro motivo: le cosiddette “seconde generazioni” (etichetta perlopiù rifiutata dai giovani discendenti di immigrati, che sarebbe opportuno non usare nel dibattito pubblico) sono portatrici di una forte volontà di affermazione sociale. Questo “voglia di farcela”, con la disponibilità al sacrificio e la tenacia che spesso l’accompagnano, andrebbe vista come una risorsa per la collettività. Ma, se queste aspirazioni dovessero continuare a scontrarsi con barriere strutturali (accesso alla cittadinanza limitato, discriminazioni nell’accesso alle filiere scolastiche e ai lavori migliori), andremmo incontro a un contraccolpo di sfiducia e conflittualità potenzialmente molto costoso.
7. La domanda-chiave, per il futuro della politica migratoria italiana dovrebbe dunque essere, a nostro parere, come superare progressivamente l’attuale modello di “immigrazione low cost”? Come possono le politiche pubbliche (accompagnate e sorrette da forme di collaborazione strategica tra pubblico, società civile e mercato, che occorre rafforzare) favorire il passaggio a un modello migratorio non solo più soddisfacente ed equo dal punto di vista dei diritti fondamentali dei migranti e dei loro discendenti, ma anche più efficiente e fruttuoso dal punto di vista dello sviluppo e della competitività del paese?
8. Occorre, innanzitutto, guardarsi da alcune illusioni semplicistiche. Bisogna coltivare (e diffondere) la consapevolezza che le politiche non hanno mai determinato, se non in modo parziale e in misura limitata, i processi migratori e di integrazione. Più che in altri ambiti, nel settore delle politiche migratorie, promettere risultati mirabolanti (zero irregolarità, pieno controllo, etc.) è controproducente. La chiarezza e il realismo delle proposte e degli obiettivi giocano, dal punto di vista della costruzione del consenso, un ruolo decisivo. In particolare, se è giusto perseguire l’obiettivo di flussi più selezionati, occorre non illudersi, e non illudere l’opinione pubblica, con la retorica di un’immigrazione altamente qualificata. A lungo, infatti, il fabbisogno di lavoro straniero espresso dall’Italia continuerà a concentrarsi prevalentemente nelle fasce basse e medie del mercato del lavoro.
Obiettivi
9. Alla luce delle considerazioni precedenti, si può tentare di formulare alcuni possibili obiettivi generali di una politica migratoria rinnovata. La chiara individuazione e la costruzione di un ampio consenso intorno a obiettivi di questa portata deve precedere, a nostro parere, l’individuazione delle direttrici di fondo per una strategia di riforma legislativa. Nel seguito, ci concentreremo principalmente su obiettivi legati al governo dell’immigrazione per lavoro e alla promozione dell’integrazione economica. Ci sembra che siano questi, infatti, gli ambiti in cui l’intervento è prioritario e decisivo; senza modificare gli equilibri, spesso perversi, in questo campo, è difficile, se non impossibile, recuperare capacità di governo strategico dell’immigrazione in Italia.
10. Obiettivo I:Valorizzare il più possibile la forza-lavoro immigrata già disponibile per evitare che la crisi determini un perverso turn-over tra “vecchi” e “nuovi” regolari nel mercato del lavoro. Sebbene il divario tra la disoccupazione dei nativi e degli immigrati sia meno ampio in Italia che nella maggior parte degli altri paesi UE, sono comunque molto numerosi i lavoratori stranieri che hanno perso il lavoro, soprattutto nelle costruzioni e nel manifatturiero al Centro-Nord. Finché questi immigrati regolari non ritroveranno una collocazione, occorrono prudenza e moderazione nel disciplinare i nuovi ingressi. Ma, per evitare il rischio di quello che definiamo un perverso turn-over, non basta chiudere i rubinetti di ingresso e prolungare la durata del permesso di soggiorno “per attesa occupazione”. Senza politiche del lavoro attive e mirate, che favoriscano la mobilità e, se necessario, la riconversione dei disoccupati stranieri (come di quelli italiani, ovviamente), il semplice azzeramento dei decreti-flussi rischia di tradursi solo in un impulso all’immigrazione irregolare e al lavoro sommerso.
11. Obiettivo II:Creare le condizioni strutturali per poter aumentare il livello di capitale umano nella nostra società e quindi nella nostra immigrazione. Un’immigrazione più qualificata e selezionata non è preferibile in termini assoluti e astratti; non è la soluzione migliore sempre e comunque. Essa è praticabile e suscettibile di produrre davvero un effetto positivo in termini di sviluppo e competitività solo in presenza di determinate condizioni strutturali nel mercato del lavoro e nella struttura complessiva dell’economia e della società. Un’immigrazione high-skilled in un’economia a bassa intensità di capitale umano, in un paese che non facilita il riconoscimento dei titoli e delle competenze, e che in generale non premia il merito, rischia di produrre soltanto quello che la letteratura economica chiama brain o skill waste; cioè, uno spreco di risorse umane, con uno strascico inevitabile di frustrazione e risentimento. In linea generale, si può dire che ogni paese ha l’immigrazione che si merita; quindi per avere una immigrazione “migliore” (parliamo di skills effettivamente valorizzate nel mercato del lavoro, ovviamente, non di aspetti morali), occorre prima intervenire su aspetti strutturali di ben maggiore portata.
Si può tuttavia, da subito, intensificare gli sforzi per drenare alcuni bacini di domanda di immigrazione irregolare a bassa qualifica, che sono sotto gli occhi di tutti, con i loro effetti dannosi in termini di diritti, di percezione degli immigrati e di competitività del sistema economico italiano. Pensiamo, per esempio, ai vasti settori di produzione agricola, soprattutto ma non solo nel Mezzogiorno, che riescono a mantenersi sul mercato solo attraverso lo sfruttamento para-schiavistico della manodopera straniera. Da questo punto di vista, alcuni interventi puntuali, come una migliore formulazione del nuovo reato di caporalato e un recepimento efficace della direttiva europea sulle sanzioni ai datori di lavoro, possono avere un impatto importante e rapido.
12. Obiettivo III:Aumentare in maniera oculata gli investimenti nella qualità dell’amministrazione dell’immigrazione regolare. Un migliore e più sofisticato governo dell’immigrazione richiede un’amministrazione robusta e dotata di competenze specifiche. In particolare, sono necessarie risorse dedicate per gestire gli ingressi per lavoro in maniera più selettiva e oculata. Il profilo e la collocazione di questo personale specializzato dipenderanno dai modelli di ammissione e dai meccanismi di matching tra domanda e offerta di lavoro che verranno concretamente scelti. Per esempio, per gestire programmi potenziati di formazione e selezione all’estero, potrebbe essere utile prevedere che, nelle rappresentanze consolari non operino soltanto ufficiali di collegamento specializzati nel campo del contrasto all’immigrazione irregolare, ma anche funzionari esperti in materia di lavoro.
Data l’attuale penuria di risorse pubbliche, occorrerà concentrare gli investimenti nei settori davvero strategici e sugli interventi di natura urgente e improrogabile. Il trasferimento sistematico e generalizzato ai Comuni di funzioni (ed eventualmente competenze) in materia di rinnovo (ed eventualmente prima concessione) dei permessi di soggiorno è un cantiere di riforma da tempo aperto, anche se sulla base di una volontà politica debole e intermittente. Investire gli enti locali di questo delicato e importante compito amministrativo sarebbe certamente auspicabile, anche perché ciò consentirebbe di “liberare” personale di polizia per compiti nel campo della sicurezza. Tuttavia, alla luce dei recenti successi nel recupero di efficienza nelle procedure di rinnovo basate sul modello attuale (imperniato sul canale Poste Italiane-Questure, con un ruolo importante, che potrebbe essere sistematizzato e ulteriormente rafforzato, di enti locali e società civile), occorre chiedersi se sia questo il momento opportuno per una riforma così impegnativa.
13. Obiettivo IV: Individuare linee prioritarie di politica migratoria estera ed attenervisi con costanza, legandole strettamente alla gestione dell’immigrazione per lavoro. Uno dei meriti fondamentali della politica migratoria italiana, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, è stato quello di impostare una gestione cooperativa delle migrazioni nei rapporti con alcuni tra i principali paesi di provenienza dei flussi irregolari verso l’Italia. Questa “politica migratoria estera” ha conseguito risultati significativi soprattutto sul versante della prevenzione e della repressione dei movimenti irregolari. In breve tempo però, quella sperimentazione ha perso slancio ed è entrata in una fase opaca, segnata da minor convinzione e lucidità nell’azione di governo. E’ necessario rilanciare questo versante della politica migratoria, puntando più decisamente sulla gestione cooperativa dei flussi legali per motivi di lavoro e spingendosi oltre la versione “minimalista” incentrata sul contrasto all’immigrazione irregolare. Per andare al di là di micro-sperimentazioni e realizzare economie di scala, però, è necessario concentrare gli investimenti su un numero molto ristretto di paesi prioritari. Data la geopolitica delle migrazioni verso l’Italia, e più in generale gli interessi internazionali del nostro paese, i paesi del Nord Africa dove la transizione verso un maggior pluralismo politico è in uno stadio più avanzato (Tunisia, Marocco) devono essere individuati con decisione come partner prioritari.
14. Obiettivo V:Adoperarsi a tutti i i livelli per garantire le pari opportunità dei discendenti degli immigrati nella loro carriera scolastica e nell’accesso al mercato del lavoro. Questo è un obiettivo di rilevanza centrale e di notevole complessità, la cui realizzazione richiede una strategia articolata e di lungo periodo. Tra gli elementi di questa strategia, oltre ad alcune riforme legislative di cui già si discute ampiamente (a partire dall’indispensabile conversione a un diritto della cittadinanza con un una componente più significativa di jus soli), ci sono per esempio le seguenti azioni: investire maggiormente nella early education (asili-nido), curando in maniera particolare l’accesso dei figli degli immigrati in questo segmento cruciale per la loro futura integrazione; condurre una lotta senza compromessi contro l’abbandono scolastico, che colpisce i figli degli immigrati in maniera particolarmente pesante; attuare interventi mirati per evitare che i figli degli immigrati si indirizzino sistematicamente, a prescindere da vocazioni e capacità, verso le “filiere basse” dell’educazione superiore; rafforzare le istituzioni preposte alla lotta alla discriminazione e promuovere la cultura antidiscriminatoria nell’amministrazione e nella società italiana.
15. Obiettivo VI:Costruire, a partire dalle buone pratiche accumulate in questi anni, un sistema integrato di accoglienza, che consenta di affrontare eventuali afflussi straordinari futuri in maniera organizzata e rispettosa dei diritti fondamentali di richiedenti asilo e rifugiati. L’afflusso straordinario di migranti e rifugiati dalla Tunisia in transizione e dalla Libia in guerra, nel corso del 2011, hanno prodotto un notevole impatto sull’opinione pubblica italiana ed europea. Sul piano puramente tecnico, la risposta in termini di accoglienza è stata diseguale, ma non priva di alcuni aspetti positivi: per esempio, l’esperimento di territorializzazione dell’accoglienza, fondato su un patto governo-regioni-enti locali, con un ruolo di coordinamento della Protezione civile contiene aspetti interessanti e da approfondire. E’ stata invece decisamente negativa la gestione politica e comunicativa della situazione che, per paura di contraccolpi negativi sul piano del consenso, ha evitato di assumere impegni chiari e ha alimentato una percezione degli eventi in chiave di minacciosa emergenza. Questo tipo di approccio all’accoglienza dei flussi misti (cioè comprensivi di migranti economici irregolari e di persone bisognose e meritevoli di protezione internazionale) ha ripercussioni negative sulla cooperazione in ambito europeo (si vedano le recenti decisioni di ridimensionare il regime di libero movimento nello spazio Schengen) e sulla gestione della stessa immigrazione regolare, alimentando una percezione di mancanza di controllo e di pericolo. Per queste ragioni, allestire – a partire da esperienze positive come quella del Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) – un’infrastruttura nazionale di accoglienza di dimensioni adeguate e fondata su procedure chiare e certe deve essere considerata una priorità strategica.