Pandemia, crollo del turismo e (nuove) migrazioni

di Francesco Vietti – Università di Milano Bicocca e FIERI

“Tutti i lavoratori del turismo, come gli albergatori, le guide professionali e i negozianti, non hanno più nulla di cui vivere”, ha raccontato Gala Sow, approdato nel settembre 2020 a Tenerife insieme ad altri 66 migranti senegalesi. Avevano viaggiato per dieci giorni, in barca, lungo una delle più pericolose vie d’emigrazione marittima verso l’Europa, per raggiungere le Isole Canarie. Gala è uno dei tanti lavoratori del settore turistico senegalese che nel corso dell’ultimo anno hanno perso ogni fonte di reddito e sono stati costretti a partire per poter mantenere le proprie famiglie. Prima dell’epidemia, gestiva un negozio di souvenirs a Saint Louis, vendeva braccialetti, collane, scarpe e vestiti, dava lezioni e concerti di djembe. Durante la stagione turistica, da dicembre a luglio, poteva guadagnare fino a tre milioni di franchi CFA, circa 4.500 euro. Ma poi è arrivato il virus in Europa, e da un giorno all’altro il flusso di turisti italiani, francesi, spagnoli si è interrotto. E così, quello di Gala, è diventato uno dei nuovi profili dei migranti africani che giungono alle Canarie, oltre 11.000 negli ultimi dieci mesi (Martín 2020). Qui trovano ad accoglierli un’altra località in piena crisi turistica: l’estate del 2020 è stata infatti segnata dal crollo del turismo internazionale anche nell’arcipelago spagnolo dell’Atlantico. E così gli alberghi vuoti della Gran Canaria a ottobre hanno riaperto le loro terrazze sul mare per ospitare circa 4.000 migranti neoarrivati, in attesa che vengano trasferiti altrove (Vega 2020).

Quanto sta accadendo sulla “rotta Atlantica” tra Senegal, Marocco e Spagna è un frammento delle molteplici connessioni tra migrazioni e turismo che, nell’estate 2020, sono state rese più evidenti dall’impatto dell’epidemia di Covid-19. La storia raccontata da Gala e dagli altri migranti senegalesi giunti alle Canarie riflette, nella sua concretezza, un fenomeno globale difficile da cogliere nelle sue dimensioni: la pandemia ha infatti causato una contrazione della mobilità senza precedenti a livello planetario le cui conseguenze economiche, sociali e culturali saranno di grande portata e di lunga durata. Nel 2019, il turismo garantiva il 10.3 per cento di tutti i posti di lavoro esistenti su scala mondiale, occupando direttamente e indirettamente ben 330 milioni di persone. Lavoratori per lo più organizzati in imprese di dimensioni medie, piccole e piccolissime, con un 30% del totale impiegati in ditte con meno di 10 dipendenti (ILO 2020). In epoca pre-Covid, il settore era giunto alla soglia dei 9 trilioni di dollari di fatturato (ossia oltre il 10% del PIL mondiale) contribuendo in molti paesi a quote elevate del prodotto interno lordo nazionale, con punte oltre il 50% nei cosiddetti Small Island Developing States (SIDS), come le Maldive, Capo Verde, ecc. (WTTC 2019). Il 2020 è stato caratterizzato da un crollo degli arrivi turistici internazionali mai registrato da quando gli strumenti di rilevazione sono stati istituiti in questo ambito, negli anni ’50 del Novecento. Secondo i dati più recenti della World Tourism Organization, mentre nel 2019 i turisti che avevano varcato una frontiera erano stati più di 1 miliardo e mezzo, nei primi otto mesi del 2020 il numero di arrivi è calato complessivamente del 70% rispetto all’anno precedente (con un 79% di decrescita in Asia, 69% in Africa e Medio Oriente, 68% in Europa e 67% nelle Americhe). Il settore ha perso in dodici mesi circa 730 miliardi di dollari di ricavi, un danno otto volte maggiore rispetto a quello prodotto dalla crisi finanziaria del 2009 (UNWTO 2020).

Tale situazione ha due conseguenze sul piano delle migrazioni. La prima riguarda l’impatto della crisi sulla vita degli immigrati impiegati nel settore turistico. La seconda concerne l’innesco di nuovi flussi di emigrazione che coinvolgono coloro che hanno perso lavoro e reddito a causa della contrazione del mercato turistico.

“Migranti sugli scogli presso la spiaggia della Guitgia, a Lampedusa”, © Francesco Vietti

Senza turisti, niente lavoro

Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre ricordare come il turismo sia uno dei settori del mercato del lavoro dove la presenza di lavoratori immigrati è più pervasiva. Una presenza spesso poco visibile: basti pensare al caso della MV Grand Princess, una delle più grandi navi da crociera sorprese nel corso della loro navigazione dallo scoppio dell’epidemia di Covid-19 nel febbraio del 2020. Molto si discusse all’epoca delle condizioni di salute dei 3.000 turisti a bordo, bloccati da una lunga quarantena nel porto di San Francisco, molto meno ci si interessò del destino dei 518 lavoratori filippini che facevano parte del personale di bordo, con le più diverse mansioni, che furono altresì vittime del contagio (Requejo 2020). La crocieristica è uno dei segmenti del turismo che più si fonda sulla manodopera migrante: non sorprende dunque che nei mesi del lockdown primaverile del 2020 fossero circa 100.000 i membri degli equipaggi delle navi da crociera bloccati in mare o in porti lontani dai propri paesi d’origine. Lavoratori migranti in una condizione di particolare fragilità e mancanza di diritti, che sono rimasti per lungo tempo confinati in spazi molto limitati, senza possibilità di essere rimpatriati, con stipendi arbitrariamente tagliati o sospesi dai propri datori di lavoro (Demster, Zimmer 2020).

La vulnerabilità dell’equipaggio filippino della MV Grand Princess riflette quella di milioni di altri immigrati che permettono il funzionamento dell’industria turistica in ogni parte del mondo, spesso scarsamente tutelati da contratti di lavoro stagionale, con mansioni umili e poco retribuite, quando non impiegati in modo del tutto informale. Proprio l’esistenza di una grande porzione di lavoro nero rende complicato stimare la consistenza complessiva della manodopera immigrata nel settore turistico a livello globale. I dati ufficiali relativi al contesto dell’Unione Europea attestano come nei 27 paesi membri gli immigrati siano il 16% dei 13 milioni di lavoratori impiegati nel turismo (di cui, il 9% cittadini di altri paesi UE, il 7% di paesi extra UE). Nel segmento della ricettività alberghiera, la presenza di lavoratori stranieri sale al 18%, con picchi tra il 25% e il 30% in Belgio, Austria, Malta e Spagna (Eurostat 2018).

Per quanto riguarda l’Italia, come evidenziato dal recente Dossier Statistico Immigrazione 2020, gli immigrati rappresentano circa un quinto dei lavoratori del comparto alberghiero e un terzo dei venditori ambulanti e del personale non qualificato della ristorazione. Non è difficile immaginare come la precarietà di questi lavoratori, sotto la spinta della crisi generata dell’epidemia, si sia tradotta nel corso della primavera-estate di quest’anno in una massiccia perdita di occupazione e reddito, solo in alcuni casi compensata dalla cassa integrazione e dagli altri strumenti attivati dal Governo italiano per far fronte all’emergenza (IDOS-Confronti 2020).

Una ristrutturazione globale del settore

Per quanto riguarda il secondo fenomeno, vorrei qui proporre una riflessione legata a quanto ho potuto osservare dalla posizione privilegiata di collaboratore di un tour operator attivo nel campo del turismo responsabile, con sede a Torino. Si tratta di una cooperativa che nell’ultimo decennio ha vissuto una forte crescita in termini di fatturato, dipendenti e destinazioni in catalogo (una quarantina di paesi del mondo, per lo più in Asia, Africa e America Latina). A partire da marzo 2020, tuttavia, la normale attività di questo operatore turistico si è bruscamente interrotta: nessuno delle decine di viaggi in programmazione si è potuto effettuare. Tutti i partner locali in attesa dei turisti nelle diverse destinazioni (agenzie di incoming, guide turistiche, autisti, alberghi, ecc.) sono stati informati della soppressione delle partenze, con la speranza, finora disattesa, di una futura ripresa della collaborazione. Considerando che il turismo responsabile si qualifica per una particolare attenzione volta a massimizzare i benefici economici e sociali che i turisti possono portare alle comunità ospitanti (circa il 40% del costo del pacchetto di viaggio è utilizzato per l’acquisto di servizi da fornitori locali), l’annullamento di tutti i tour del 2020 previsti in Marocco, Senegal, Perù, Ecuador o Vietnam si è immediatamente tradotto nel venir meno di un flusso di centinaia di migliaia di euro destinati a chi, in quei paesi, da anni lavorava e viveva grazie a queste risorse. Come dichiarato da Johannes Solar Obeto, di Responsible Tourism Tanzania: “Stiamo assistendo a licenziamenti in tutto il settore turistico, senza nessuna certezza che le persone che perdono il reddito potranno un giorno riottenerlo. Alcuni datori di lavoro stanno optando invece di mantenere il personale, ma riducendo drasticamente gli stipendi. La vita sta rapidamente cambiando in località come Arusha o Zanzibar, dove un gran numero di giovani e di famiglie dipendono dal settore turistico, oggi quasi azzerato” (Donelan 2020).

I dati dell’UNWTO mostrano come il crollo degli arrivi internazionali nel 2020 riguardi le destinazioni turistiche in ogni parte del mondo. Tuttavia, è evidente che gli effetti di tale fenomeno sono diversi in paesi capaci di supplire, almeno in parte, alla diminuzione dei turisti esteri attraverso interventi di sostegno e stimolo del mercato turistico interno, rispetto a contesti in cui il turismo domestico è scarso o del tutto inesistente. L’Italia, come molti altri stati europei, ricade nella prima categoria. Non a caso, per tornare alla mia esperienza diretta con il tour operator torinese, l’estate del 2020 è stata caratterizzata dal tentativo di salvare la stagione con una riconversione last-minute dell’offerta dei viaggi proposti dalla cooperativa. L’estero, rispetto al quale vigevano peraltro numerose restrizioni, è stato così necessariamente abbandonato a favore di un “turismo di prossimità”, con tour per (ri)scoprire le zone interne del nostro paese, itinerari a piedi nelle regioni Covid-free, ecc. (Pignataro 2020). Forme simili di “turismo patriottico” sono state riscontrate anche in paesi che, a causa della pandemia, hanno visto ridursi drasticamente il volume di rientri estivi da parte della diaspora: significativo in tal senso è il caso dell’Albania, che ogni anno beneficia a livello economico delle vacanze di centinaia di migliaia di emigranti che invece nel 2020 non sono tornati a casa (bloccati in Italia, negli Stati Uniti e altrove); gli operatori del settore si è sono dunque appellati agli stessi abitanti del paese, nonché alla popolazione albanese del Kosovo, della Macedonia e del Montenegro per non far fallire i tanti hotel e ristoranti sorti negli ultimi anni lungo le spiagge della Riviera. Nelle parole di Ernis Osmanaj, titolare del 2Lips di Dhërmi: “Per questa stagione, i nostri clienti dovranno venire da Tirana e non dal Regno Unito come lo scorso anno” (Pulaj 2020).

Mobilità antitetiche e complementari

La pandemia ci sta dunque mostrando alcune connessioni inedite, e talvolta drammatiche, tra migrazioni e turismo. Queste due forme di mobilità emblematiche del mondo contemporaneo sono per certi versi antitetiche e, anche dal punto di vista della ricerca sociale, sono spesso state analizzate senza prestare la dovuta attenzione ai numerosi livelli di intersezione (Hall, Williams 2002). Eppure, un numero crescente di contesti è caratterizzato proprio dall’azione congiunta, dalle sovrapposizioni, negoziazioni, conflitti, alleanze generate da flussi turistici e migratori. Basti pensare alle isole del Mediterraneo come Lesbo o Lampedusa, dove immagini ed economie dell’accoglienza rivolta a turisti e migranti mostrano tutta l’ambivalenza del concetto di “ospitalità” (Vietti 2019a). Oppure ai cosiddetti “quartieri etnici” delle nostre città, stigmatizzati per l’alto numero di residenti immigrati, ma al tempo stesso sempre più meta turistica per via del fascino esotico della loro diversità culturale (Vietti 2019b).

All’alba del Millennio, Zygmunt Bauman (1998) aveva fatto del “turista” e del “migrante” le due figure simboliche dei diversi “regimi di mobilità” (Glick Schiller, Salazar, 2013) della globalizzazione: il primo libero di muoversi da un paese all’altro per svago e piacere, il secondo costretto a partire per necessità, a superare i confini a rischio della propria vita e sottoposto a forme di controllo e segregazione. Vent’anni più tardi, la pandemia ha per la prima volta sottoposto anche i “turisti” a un regime di mobilità più restrittivo. In alcuni casi le frontiere sono state del tutto chiuse, in altri sono state introdotte limitazioni all’accesso in base al paese di provenienza dei viaggiatori, in molti contesti si è diffuso il timore che i turisti potessero farsi vettore della diffusione del virus. In una sorta di ribaltamento delle usuali prospettive, hanno fatto notizia, ad esempio, le storie di turisti italiani bloccati, isolati ed espulsi da alcuni paesi africani dove si erano recati per trascorre le vacanze (Toelgyes 2020). Se i turisti hanno così sperimentato sulla loro pelle alcune delle forme di controllo della libertà di movimento normalmente riservate ai migranti, purtroppo la pandemia ha reso ancora più difficile la prospettiva che in un prossimo futuro la mobilità dei migranti possa essere in qualche modo facilitata e i loro viaggi resi meno rischiosi. Tuttavia, ciò che l’attuale crisi rende ineludibile è la necessità di agire in modo concreto, rapido ed efficace per tutelare i diritti e alleviare le difficoltà delle centinaia di migliaia di immigrati che in Italia e in Europa lavorano nel settore turistico e di milioni di altre persone nel resto del mondo che, senza le risorse legate al turismo, rischiano oggi di non avere altra possibilità che emigrare.


Bauman, Z., 1998. Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari.

Demster, H., Zimmer, C., 2020. Migrant Workers in the Tourism Industry: How Has COVID-19 Affected Them, and What Does the Future Hold?, CGD Policy Paper 173 May 2020, https://www.cgdev.org/sites/default/files/migrant-workers-tourism-industry-how-has-covid-19-affected-them-and-what-does-future.pdf.

Donelan, P., 2020. Responsible tourism in Tanzania, recommendations for COVID-19 recovery, https://trade4devnews.enhancedif.org/en/op-ed/responsible-tourism-tanzania-recommendations-covid-19-recovery.

Eurostat, 2018. Tourism industries – employment, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Tourism_industries_-_employment#Source_data_for_tables.2C_figures_and_maps_.28MS_Excel.29.

Glick Schiller N., Salazar N., 2013. “Regimes of Mobility across the Globe”, Journal of Ethnic and Migration Studies, 39, 2: 183-200.

Hall C.M., Williams A.M. (eds), 2002. Tourism and Migration. New Relationships between Production and Consumption, Kluwer, Dordrech.

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ILO, 2020. ILO Sectorial Brief – The impact of COVID-19 on the tourism sector, https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—ed_dialogue/—sector/documents/briefingnote/wcms_741468.pdf

Martín, M, 2020. “Los nuevos inmigrantes de la pandemia”, El País, https://elpais.com/espana/2020-10-31/los-nuevos-inmigrantes-de-la-pandemia.html.

Pignataro, S., 2020. Borghi isolati contro spiagge affollate, Paesi sani contro Paesi ammalati: il Covid-19 impone un nuovo turismo. Parola di antropologo, https://it.businessinsider.com/borghi-isolati-contro-spiagge-affollate-paesi-sani-contro-paesi-ammalati-il-covid-19-impone-un-nuovo-turismo-parola-di-antropologo/.

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Toelgyes, C.I., 2020. Coronavirus: Mauritius rispedisce al mittente 40 turisti italiani, https://www.africa-express.info/2020/02/25/coronavirus-mauritius-rispedisce-40-turisti-italiani-al-mittente.

UNWTO, 2020. International tourism down 70% as travel restrictions impact all regions, https://www.unwto.org/news/international-tourism-down-70-as-travel-restrictions-impact-all-regions.

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Vietti, F., 2019b. “‘A crooked, open, modest city’ – Intercultural tourism as a tool to grasp urban super-diversity and build social cohesion, Geo Progress Journal, 6, 2: 61-78. http://www.geoprogress.eu/wp-content/uploads/2020/04/GeoJ2019-I2-Vietti.pdf.

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