Il direttore generale dell’Immigrazione presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Natale Forlani, risponde alle domande di FIERI. Riportiamo una sintesi, rivista dal dottor Forlani, dell’intervista realizzata da Ferruccio Pastore e Francesco Tarantino in data 28 luglio 2011.
FIERI: L’Italia viene da un decennio d’intensa immigrazione, con una componente molto importante di ingressi per lavoro. La tendenza si è attenuata con la crisi, ma il volume degli ingressi rimane comparativamente elevato. Tanto che, come mostra per esempio l’ultimo rapporto sulle migrazioni dell’OCSE (IMO 2011) negli ultimi anni l’Italia emerge ormai, insieme al Regno Unito, come il principale paese in Europa per flussi legali. Partiamo di qui, dagli sviluppi recenti e dalle tendenze che lei vede nel futuro prossimo.
NF: Il quadro con cui ci misureremo nei prossimi anni è molto diverso da quello del decennio scorso. Le politiche devono adattarsi e si stanno già adeguando a questo nuovo quadro. Oggi sta crescendo il fenomeno dei cittadini comunitari, che hanno regole di movimento del tutto simili a quelle degli italiani e quindi buona parte della domanda può essere (ed è già) soddisfatta dalla mobilità dei comunitari. Inoltre buona parte dei familiari ricongiunti accede (o potrebbe accedere) al mercato del lavoro. Per questo noi prevediamo – anche sulla base di uno studio che abbiamo realizzato di recente – che nei prossimi anni non avremo più bisogno di grandi numeri, nonostante le dinamiche demografiche non siano cambiate molto. Questo è il quadro in cui dobbiamo inserire il tema della programmazione. Avremo di fronte un decennio di programmazione e di politica selettiva. Il fatto è che in passato non sono mai stati valutati i fabbisogni reali nella programmazione degli ingressi: occorre invece programmare i flussi sulla base delle esigenze del mercato del lavoro. Abbiamo di fronte un grande problema di selezione e qualificazione. Non dobbiamo più considerare la manodopera straniera come automaticamente ed esclusivamente sostitutiva di quella degli italiani, per lavori che non vogliamo più fare noi. Bisogna tener conto che la domanda di mobilità sociale degli immigrati già presenti, derivante dall’integrazione progressiva tra mercato del lavoro, educazione e famiglia, sarà molto forte. D’altra parte è nostro interesse migliorare la qualità della mobilità sociale degli immigrati perché la base dell’integrazione non sono le politiche pubbliche ma la capacità normale di produrre reddito e consentire alle persone di fare le scelte che vogliono.
Oltre il decreto-flussi
FIERI: Passiamo agli strumenti specifici di policy, a partire dal decreto-flussi, qual è il suo giudizio sulla situazione italiana e quali sono le vostre attuali linee di azione?
NF: alla base delle politiche migratorie italiane c’è tuttora la struttura normativa molto importante contenuta nella Turco-Napolitano, in gran parte ereditata dalla Bossi-Fini. I problemi emersi con il decreto-flussi li avremmo avuti anche senza le modifiche legislative degli ultimi anni. Il punto è che bisogna pensare alle politiche del lavoro in termini di domanda e offerta, sviluppando strumenti adeguati.
Sul tema della regolazione dei flussi, la Turco-Napolitano aveva introdotto degli strumenti assolutamente evoluti, ovvero gli accordi diplomatici con i paesi di origine in un ambito di reciprocità, che, tuttavia, sono ancora in gran parte da attuare.
In otto mesi abbiamo già concluso quattro accordi diplomatici di nuova generazione con Moldova, Egitto (il primo accordo diplomatico a livello mondiale con la nuova amministrazione scaturita dai moti di piazza Tahrir), Albania e Marocco. Altri nuovi accordi sono in cantiere: il prossimo sarà concluso con lo Sri Lanka, ci sono negoziati in corso con l’Ucraina, le Filippine, il Bangladesh e il Perù. Infine l’idea è quella di impostare accordi con Cina e India. Attraverso la conclusione e la realizzazione di questi accordi si potrà coprire fino al 90% del fabbisogno di manodopera straniera.
Gli accordi conclusi in passato erano di portata limitata, basati solo su piccole sperimentazioni.
Il nuovo approccio darà un ruolo centrale agli operatori di domanda e offerta di lavoro e prevederà: la costituzione di liste di disponibilità elettroniche nei paesi di origine e l’accreditamento degli operatori autorizzati a fare formazione professionale e attività d’intermediazione negli stessi paesi. Fino a poco fa, nel nostro paese, tra le organizzazioni accreditate a intermediare tra domanda e offerta di lavoro straniero non figuravano tutti gli operatori iscritti all’Albo degli intermediari italiani (ad esempio, agenzie lavoro temporaneo, consulenti, società di selezione), che pure offrono le migliori garanzie perché sono tenuti alla trasparenza, alla correttezza contrattuale e alla gratuità dei servizi offerti; questo per fortuna è cambiato.
In questo quadro il “vecchio” decreto flussi avrà soltanto una funzione residuale. Inoltre, alcune categorie potranno entrare in Italia al di fuori del decreto flussi: chi farà un percorso di formazione all’estero – anche linguistica – potrà entrare nel nostro paese extra-quote e allo stesso modo i lavoratori stagionali che hanno lavorato per più di due anni potranno entrare con i nulla-osta pluriennali. Sono stati pubblicati i primi bandi di cofinanziamento pubblico per attività di formazione all’estero nei paesi con cui sono già stati conclusi gli accordi o si è in via di conclusione. Si tratta di formazione per persone che avranno la certezza di un posto di lavoro. Stiamo mettendo in campo da qui al 2012 circa 6 milioni di euro per questi cofinanziamenti.
Infine, giocheranno un ruolo molto positivo e non più astratto le quote privilegiate: facendo coincidere decreti di programmazione con quote privilegiate mettiamo in atto il quadro di riferimento basato sulla selezione degli ingressi dai paesi di origine. Quindi, sincronizzando gli accordi di contrasto all’immigrazione clandestina con la qualificazione e la formazione all’estero.
FIERI: Però in passato succedeva che le quote privilegiate alla fine erano penalizzanti per quei paesi, nel senso che costituivano un tetto massimo, di fatto limitante per molte comunità, più che un accesso privilegiato…
NF: Sì, questo è stato vero nell’ultimo periodo. Le quote privilegiate sono state spesso usate in maniera inadeguata: cioè solo per ottenere risultati sul piano dei controlli e della riammissione, ma senza una reale connessione con la gestione degli ingressi. Adesso invece le quote privilegiate verranno stabilite a partire dalle liste di disponibilità.
L’altro grande elemento sarà la costruzione dei bacini di disponibilità: stiamo arrivando a mettere in piedi un sistema informativo per permettere a tutti i servizi per l’impiego, pubblici e privati, di avere l’evidenza delle scadenze contrattuali in atto. Ricostruendo questi bacini di disponibilità facciamo in modo che chi è disoccupato in Italia, italiano o straniero, abbia una prelazione rispetto ai nuovi ingressi.
FIERI: E questo con quale strumento si metterà in atto questa prelazione?
NF: Con il sistema informativo esistente. Attraverso le comunicazioni obbligatorie, i servizi per l’impiego hanno a disposizione le informazioni su tutte le scadenze dei contratti in atto in tutte le imprese, per tipologie di lavoro. In questo modo possono tranquillamente contattare le imprese per capire se il lavoratore viene confermato o se rimane in disponibilità. Inoltre, abbiamo a disposizione l’elenco completo dei percettori stranieri di sostegno al reddito che sono mediamente 125.000. Prima di far venire qualcuno dall’estero si dovranno interpellare gli stranieri disoccupati.
FIERI: Per mettere in moto il processo di riforma che lei descrive, e in particolare per aprire la strada all’intermediazione dei privati anche a livello internazionale, è stata necessaria un’innovazione legislativa?
NF: No, è bastato recepire e attuare la legge Biagi del 2003. Negli accordi diplomatici conclusi sono stati accreditati gli operatori autorizzati (per esempio, Manpower a Tirana) a gestire la domanda e l’offerta. Il meccanismo delle quote verrà quindi rivisto sulla base di domande già istruite all’estero. L’innovazione legislativa quindi c’è stata solo per allargare il novero dei soggetti autorizzati.
Più in generale, il quadro descritto è semplicemente frutto dell’attuazione del Piano per l’Integrazione “Identità e Incontro” del giugno 2010.
FIERI: E questo funzionerà per tutti i tipi di domanda?Anche rispetto al segmento particolare e importantissimo che è costituito dal lavoro di cura? come si supera il fatto che il potenziale datore di lavoro, tipicamente un anziano bisognoso di cure, è riluttante ad impegnarsi ad assumere una badante che non conosce perché si trova ancora all’estero?
NF: Certo, funzionerà anche con il mercato del lavoro familiare perché con l’ultima finanziaria si è estesa la possibilità di accreditamento ai Patronati e alle organizzazioni di tipo sociale che già fanno questo lavoro. L’intermediazione avverrà comunque tramite conoscenze, come quasi sempre accade. Occorre però meglio organizzare i processi d’intermediazione fiduciaria.
FIERI:- Dal punto di vista economico, è un sistema sostenibile? In concreto, come vengono coperti i costi dei servizi di intermediazione forniti dai patronati?
NF: Di questo aspetto non ci stiamo occupando direttamente, ma in parte si tratterà di contributi da parte dei datori di lavoro. Poi, qualche finanziamento pubblico sarà necessario. Per il momento il Ministero del Lavoro sta gestendo un programma da 50milioni di euro circa (tra fondi governativi e co-finanziamenti delle Regioni), che vedrà protagoniste le grandi organizzazioni sindacali, per costruire una rete di facilitazione alle famiglie nella gestione delle assistenti familiari e attivare bonus degli enti locali verso le famiglie. Nel giro di un anno avremo almeno 2.000 nuovi sportelli attivi. La remunerazione di questi sportelli deriverà dall’indennità di sostegno, dalla gestione buste-paga o dall’erogazione di bonus in maniera accreditata. Inoltre, abbiamo abilitato l’uso dei tirocini riconvertibili in lavoro. Nell’ultimo decreto flussi si è stabilito un rapporto tra la programmazione degli ingressi per tirocinio e la convertibilità dei permessi concessi per queste ragioni pari a 2/3: ciò significa che è possibile utilizzare il tirocinio come periodo di prova e quindi come ulteriore canale di ingresso. Nell’ultimo anno abbiamo stabilito la possibilità di concedere 10.000 permessi per tirocinio, di cui 6.000 sono convertibili in permessi per lavoro.
Una riforma in sordina
FIERI: Lei descrive un processo di riforma ampio e articolato. Nel dibattito pubblico non se n’è quasi parlato. E’ un po’ sorprendente che cambiamenti importanti come quelli descritti maturino senza una campagna di comunicazione, in maniera quasi sotterranea. E’ una scelta?
NF: Questa è una competenza dei politici. Dal punto di vista operativo forse è anche meglio perché se si recupera un po’ di pragmatismo e si de-ideologizza il dibattito è sicuramente positivo. Devo dire che non c’è un contrasto tra sostenere un’immigrazione regolare e qualificata e fare una politica dell’accoglienza: questa maniera di vedere è frutto di un’esasperazione del dibattito politico.
Quello che conta, dunque, è che le cose vadano avanti. L’attuazione del Piano per l’Integrazione procede: c’è già l’accordo con le regioni, stiamo accreditando gli operatori e siamo già sui 200 enti accreditati. Un impianto del genere ha un impatto incredibile per le famiglie che hanno finalmente un riferimento, gli enti locali possono sgravare i costi del welfare. Se facessi una conferenza stampa su questi temi interesserebbe a poche persone. Questo perché c’è anche l’altra faccia della medaglia: la concentrazione sui temi dell’irregolarità funziona anche dal punto di vista mediatico. C’è sempre la tendenza a concentrarsi sugli elementi negativi, che delegittimano le istituzioni e la politica.
La governance da costruire
FIERI: In conclusione, vorremmo chiederle qualche valutazione sul ruolo degli attori pubblici non statuali, in particolare l’Europa e le Regioni.
NF: La governance delle politiche migratorie deve essere costruita su due livelli. In primo luogo un approccio top-down perché c’è comunque bisogno di una centralizzazione. Non so se in futuro il ruolo degli attori sovra-nazionali aumenterà ma per ora ogni Stato non può non avere una strategia centrale che decida quali sono gli standard sulla base dei quali si ammettono le persone sul proprio territorio. E l’ingresso per motivi di lavoro rimane quello dominante. Il ruolo delle Regioni entra in gioco una volta che le persone sono entrate.
In secondo luogo, è necessario un approccio bottom-up. L’integrazione non è una teoria, è una capacità di costruire cultura, servizi, operatori e attori dell’integrazione su base locale.
Dentro questo sistema resta la necessità di ricostruire una governance cercando, ad esempio, di condividere i meccanismi di monitoraggio delle politiche di integrazione, i sistemi previsionali del mercato del lavoro e dei bacini di disponibilità. Stiamo preparando un sistema di monitoraggio territoriale dell’andamento del mercato del lavoro, che produrrà bollettini semestrali e un rapporto annuale, e che terrà conto di tutti i dati a disposizione relativi alle comunicazioni obbligatorie, ai bacini di disponibilità, ai percettori di sostegno al reddito. Quindi le prossime consultazioni per la programmazione dei flussi avverranno sulla base di una capacità di monitoraggio più solida. Inoltre, con le Regioni sarà necessario costruire una linea di attività condivisa sulle politiche d’integrazione, e questo è un po’ più complicato. Una complicazione in più è dovuta al fatto che nel campo delle politiche sociali per l’integrazione esiste una pluralità di normative, di tipologie d’intervento e di modalità di utilizzo delle risorse. Purtroppo in Italia i problemi di sistema vengono affrontati con i progetti: c’è quindi un problema di dispersione di risorse che produce a volte dei progetti interessanti, ma senza nessun respiro di lungo periodo. A breve sarà lanciato il portale dell’integrazione. Si tratta di un sistema di valutazione degli operatori e degli accessi ai servizi a livello nazionale, che sarà implementato su base regionale per grandi temi: lingua, formazione, casa, salute e così via.
FIERI: In Europa serve una politica comune sui temi dell’immigrazione per lavoro o dell’integrazione oppure la sussidiarietà deve prevalere?
NF: La sussidiarietà non è alternativa alla regolazione sovranazionale, anzi ne è una condizione. A livello europeo bisogna però ricordare che non può esistere libera circolazione senza una politica di immigrazione comune. Altrimenti si verificherà sempre come il caso di qualche mese fa in cui per 20.000 profughi tunisini si è rischiato di mettere in discussione Schengen. O ci si pone il problema della coerenza complessiva tra politica estera, di cooperazione e di difesa, oppure tutti i problemi ti crollano addosso e distruggono l’Europa. I singoli Stati non hanno la possibilità di farsi carico degli effetti negativi di una incapacità di protagonismo della UE. Prendiamo ad esempio l’area sub-sahariana: quella è una mina vagante. Come si può non porsi il problema di quel gran numero di paesi devastati da fame, guerre e conflitti di ogni sorta che si stanno muovendo sul nord Africa e che destabilizzeranno la sponda europea del Mediterraneo? Non si può risolvere il problema come francesi o come italiani. Altrimenti, emerge l’altro limite dell’Europa, che è quello di fare le prediche: l’incapacità di operare che si compensa con la retorica.
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*Le foto del presente articolo sono tratte dal progetto 150 immigrati tricolore e da Facce da straniero