Scelte strategiche e opzioni tecniche – Un confronto tra esperti e operatori
Nel corso dell’ultimo decennio, l’Italia è diventata uno dei principali paesi di immigrazione a livello europeo. Correnti non stagionali di immigrazione per lavoro di entità paragonabile si sono riscontrate solo in Gran Bretagna e, in misura decisamente maggiore, in Spagna. Questi imponenti flussi hanno seguito in prevalenza canali irregolari, inducendo maggioranze politiche diverse a reiterate e massicce regolarizzazioni. Una quota significativa e crescente di queste migrazioni ha tuttavia avuto luogo in forma legale, in parte per effetto degli allargamenti a est dell’Unione europea, in parte attraverso il meccanismo del “decreto-flussi”, largamente utilizzato sebbene unanimemente considerato inefficiente ed esposto ad abusi.
L’Italia rimane un paese di intensa immigrazione anche nel pieno della crisi: nel corso del 2009, la popolazione straniera legalmente residente è cresciuta di oltre 340.000 unità (+8,8%), un incremento ancora molto forte, sebbene inferiore ai due anni precedenti. Tutto questo in un anno in cui non è stato emanato alcun decreto-flussi, se non per lavoratori stagionali.
Insomma, sembra proprio che di un afflusso costante di lavoratori stranieri l’Italia non possa proprio fare a meno, nemmeno per brevi periodi. Se è così, quali sono gli strumenti migliori, più efficaci e sostenibili, in termini sia economici e sociali, sia politici, per gestire questa esigenza strutturale? Fino ad oggi, seppure con alcuni cambiamenti significativi di impostazione (pensiamo specialmente all’istituzione del “contratto di soggiorno”), è prevalsa una gestione ex post, cioè imperniata sullo strumento della regolarizzazione, e poco selettiva (salvo che, in parte, rispetto al paese di origine, grazie allo strumento delle “quote privilegiate”).
Ammesso che sia desiderabile un governo delle migrazioni più proattivo e selettivo, quali sono gli strumenti – normativi e amministrativi – più idonei a conseguire questo obiettivo strategico? Queste domande non si pongono solo nel contesto italiano. A livello internazionale, si parla molto di “sistemi a punti”. Negli ultimi anni, tre stati europei (Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito) hanno adottato soluzioni di questo tipo, ispirandosi all’esempio decennale di alcuni tradizionali paesi di immigrazione di popolamento (Australia, Canada, Nuova Zelanda, seppure in forme assai diverse). E’ una via praticabile anche per l’Italia? Le risorse amministrative e finanziarie necessarie per gestire concretamente un sistema a punti sono alla nostra portata? Posto che si convenga sulla opportunità di introdurre meccanismi di selezione basati su criteri oggettivi e definiti a priori, quale tipo di filtro si adatterebbe alla situazione italiana? Quale mix specifico di parametri demografici, linguistico-culturali, relativi al profilo educativo e professionale, o ancora di natura sociale (presenza di familiari già residenti) soddisferebbe meglio i nostri interessi nazionali di lungo periodo?
Questi interrogativi sono importanti e urgenti per chiunque abbia a cuore il futuro economico e sociale dell’Italia. Spesso, però, simili domande vengono oscurate da un modo di affrontare la questione migratoria strumentalmente ideologizzato e troppo schiacciato sul breve termine. Durante il seminario “Quale immigrazione per l’Italia di domani? Scelte strategiche e opzioni tecniche – Un confronto tra esperti e operatori”, organizzato da FIERI e Neodemos, si è proceduto ad un confronto pacato e puntuale a partire da questi interrogativi concreti, tra esperti e studiosi, da un lato, operatori e decisori dall’altro.
I lavori sono stati introdotti dalle relazioni di Ferruccio Pastore (FIERI), Massimo Livi Bacci (Neodemos e Università di Firenze) e Jonathan Chaloff (OCSE). Si rendono disponibili in questa sede i materiali degli interventi.