Riflessioni a partire da una ricerca recente sull’impatto della pandemia sui fenomeni migratori

di Matteo Sanfilippo (Università della Tuscia, Viterbo – Centro Studi Emigrazione, Roma)

Dal rinnovato sito del Centro Studi Emigrazione (cser.it) di Roma è possibile passare non soltanto a un numero notevole di vecchie pubblicazioni sul tema, a partire dai primi 200 numeri della rivista del Centro, ma anche ai rapporti su nuove ricerche. Tra queste spicca “Una Sola Casa” perché nessuno resti indietro! L’umanità alla prova del Covid-19 (2020). Questo rapporto vuole allargare a tutto il pianeta quanto intentato da Actuación scalabriniana en la Pandemia Covid 19 en Sudamérica (2020), aggiungendo analisi sul Nord America, l’Australia, l’Asia e l’Europa.

Lo sforzo per il libro è stato massiccio, ma non tanto da coprire tutte le caselle necessarie, cosicché mancano tasselli importanti quali una panoramica dell’Asia continentale, oppure dell’Egitto e del Medio Oriente. Inoltre la specificità messicana e centro-americana è schiacciata dall’attenzione agli Stati Uniti e al subcontinente meridionale. Per di più restano fuori l’Europa centro-orientale e quella orientale, l’Europa balcanica e quella settentrionale, ivi comprese Irlanda e Gran Bretagna. Inoltre, rileggendo quel lavoro qualche mese dopo, è evidente che non insista abbastanza su quanto la crisi pandemica abbia fatto risaltare problematiche già in essere. Negli Stati Uniti per tutto il secondo decennio appena trascorso è stato brutale lo scontro attorno all’integrazione lavorativa e sociale di nuovi immigrati. Ben prima della pandemia, il Paese, pur composto di immigrati, reagiva sempre più duramente ai nuovi arrivi.

Riguardo a tale crescente tensione, le presidenziali statunitensi dello scorso novembre hanno evidenziato come la resistenza alle nuove immigrazioni spacchi l’elettorato di origine non europea: ben un terzo di quest’ultimo si è dichiarato con il proprio voto contrario alla eventualità di nuovi ingressi. Le rilevazioni post elettorali hanno addirittura mostrato come il 28% dei latino-statunitensi abbia preferito Donald Trump, nonostante questa sezione dell’elettorato dovesse in teoria aborrire il presidente del “Wall with Mexico”. Su questa base si può intuire perché il negazionismo trumpiano abbia attecchito tra gli strati della popolazione che più hanno pagato nei mesi scorsi l’impatto del virus e li abbia convinti a scaricare la “colpa” di quest’ultimo sui nuovi arrivati e che l’unica salvezza risieda nella chiusura ermetica del Paese.

Un altro settore nel quale il virus ha funzionato da cartina di tornasole, rivelando malfunzionamenti di lungo periodo, è il contesto sanitario. Basti confrontare quanto accaduto in Francia, nella Penisola iberica e in Africa. La crisi sanitaria non è esplosa per l’arrivo di qualcosa di imprevedibile, facendo pagare a molteplici coorti sociali il fallimento dei sistemi di assistenza nazionale. La pandemia è stata l’ultimo fattore di un processo che da decenni preparava il crollo sanitario e puniva gli strati più deboli della popolazione, ivi compresi, ovviamente, i migranti.

Ripensare ai saggi in “Una Sola Casa” fa intravedere per di più quanto la congiuntura attuale abbia inasprito conflitti e razzismi già in atto. In questa prospettiva non appaiono vie immediate per un miglioramento futuro in tutto l’Occidente, nonostante le speranze di molti sulla capacità della pandemia di mettere fine al neoliberismo e al suo sfruttamento planetario. Sarebbe invece il caso di realizzare che il grande slancio del neoliberismo è morto con il secolo scorso e gli è succeduta una fase neo-populista e neo-nativista, ben più pericolosa perché nutrita di odio xenofobico. Tenuto conto dell’impatto pandemico, una riflessione ponderata ci prospetta adesso un futuro prossimo peggiore del presente, almeno sul piano del blocco della mobilità e della non assistenza a profughi e rifugiati.

Ferruccio Pastore ha chiosato nell’agosto 2020, introducendo un corso di alta formazione per direttori ed equipe di collaboratori della Fondazione Migrantes, che quanto sta accadendo ha “triplicato” la sofferenza dei migranti e reso più difficile la mobilità internazionale. Sennonché a quasi metà del 2021 sembra che la pandemia stia addirittura cancellando la coscienza dell’inevitabilità di quest’ultima: basti pensare alle risposte indecise alle stragi tra le nevi dell’Europa centrale attorno a Natale e nel Mediterraneo adesso. A ben vedere, la congiuntura attuale sta cancellando dalle nostre menti l’esistenza e l’importanza della mobilità internazionale, volontaria o coatta. La casa editrice Laterza ha pubblicato nell’ottobre 2020 un volume di oltre 500 pagine, nel quale i maggiori esponenti dell’intellighentsia progressista prefigurano Il mondo dopo la fine del mondo. Non solamente in questo libro non vi è un saggio su mobilità e migrazioni, ma il solo riferimento a tale questione è un rapidissimo accenno alle difficoltà scolastiche dei figli “degli stranieri”, termine apparentemente neutro, ma alquanto infelice.

L’orizzonte del libro Laterza è solamente peninsulare e non prevede né gli italiani che lavorano e vivono all’estero, né gli immigrati e i rifugiati che sono in Italia, di passaggio o per un certo periodo. La sua prospettiva ignora quanto sembrava ragionevolmente valido ancora alla fine del 2019, ovvero che nel nostro millennio le dimensioni nazionali fossero scavalcate dalla diffusa mobilità internazionale e folti gruppi di persone vivessero a cavallo di più nazioni o più continenti: proprio questo d’altronde aveva scatenato la reazione neo-nativista in Europa e negli Stati Uniti.

Il volume laterziano testimonia così come persino gli studiosi e i politici del centro-sinistra tendano a ignorare i migranti e in genere le categorie della mobilità e come la pandemia abbia riportato a quadri e fedeltà geopolitiche soltanto un anno fa apparentemente lontanissimi nel tempo. Al neo-populismo si oppone un respiro nazionale più ampio, che in certi casi può considerare l’intera Europa come una sola nazione, ma comunque chiuso a ogni possibilità di movimento verso o da l’esterno dei confini geopolitici dati.

Di fronte a questo quadro storicamente improponibile e distopico, che determinerebbe enormi problemi di gestione economica e demografica dei singoli Paesi o degli interi continenti, bisogna ricordare una realtà migratoria, da troppi negata, e ribadirne l’importanza nel contesto planetario. Il Covid ha rafforzato le spinte neopopuliste in ambito politico (la caccia al capro espiatorio), le elaborazioni neo-nazionalistiche (che siano limitate alla sola Italia o allargate all’Europa considerata quale singola identità) in quello culturale e ovviamente complicato la quotidianità lavorativa e sanitaria dei migranti. Tuttavia non ha ancora del tutto eliminati questi ultimi dai nostri cuori e dalle nostre menti. Sta a noi impedire che questo avvenga e ricordare a tutti che, a ben vedere, la mobilità internazionale ha ancora un importante risvolto per l’Italia e per gli italiani, data la loro forte propensione alla diaspora. Proprio per questo le conclusioni del volume citato in apertura sono state rilanciate da un numero speciale di “Studi Emigrazione” (221, 2021), la rivista del Centro e saranno riprese da nuove iniziative a partire dalla fine di questo anno