Susanna Owusu Twumwah in dialogo con Yassin Dia e Giulia Liti
Questa intervista è stata realizzata nell’ambito della rubrica Non Meno Uguale, nella quale FIERI si propone di dialogare con giovani con retroterra migratorio attivamente impegnati in progetti per l’inclusione sociale per riflettere più consapevolmente sulle discriminazioni e le loro conseguenze nell’Italia contemporanea.
Susanna Owusu Twumwah, laureata in Cooperazione internazionale e sviluppo alla Sapienza di Roma e in Migration and Diaspora Studies alla SOAS, è una professionista nell’ambito della comunicazione. È tra i membri fondatori di Questaèroma, un’associazione composta da giovani con e senza retroterra migratorio che si occupa di contrastare le discriminazioni attraverso la promozione di iniziative culturali e sportive. Svolge attività di consulenza per diversi progetti nell’ambito della cooperazione internazionale, migrazione e diversità. Tra i vari progetti ha lavorato anche per il progetto CHAMPS (Champions of Human rights And Multipliers countering afroPhobia and afrophobic Speech) contro l’afrofobia. Il progetto CHAMPS è coordinato da Amref Health Africa in partnership con CSVnet, Divercity APS, Le Réseau, Osservatorio di Pavia, Razzismo Brutta Storia e in collaborazione con Arising Africans, Carta di Roma e CSVMarche. Il progetto è realizzato grazie a un finanziamento dell’Unione Europea, nel contesto del programma Rights, Equality and Citizenship Programme (REC 2014-2020).
YD & GL: Che cosa si intende con il termine “afrofobia” e qual è l’impatto di questo fenomeno oggi in Italia?
Il termine afrofobia si riferisce nello specifico alle discriminazioni nei confronti delle persone africane e afrodiscendenti. È strettamente connesso alla costruzione e alla diffusione di stereotipi negativi sull’Africa e al razzismo anti-nero. Sebbene poco studiato, si tratta di un fenomeno molto presente nel contesto italiano. Se da una parte è vero che la parola “afrofobia” risulta ancora sconosciuta a molte persone, non è difficile, invece, riconoscere la presenza di pregiudizi nei confronti delle persone nere di origine africana In Italia, disponiamo di pochi dati che si riferiscono al fenomeno dell’afrofobia. I pochi che abbiamo, purtroppo, sono parziali È molto difficile raccogliere con completezza i dati sulle discriminazioni verso le persone nere. Come sappiamo, non è possibile risalire alla totalità dei casi di discriminazione che avvengono in Italia, perché molte vittime non denunciano.
L’Osservatorio di Pavia ha recentemente realizzato una ricerca qualitativa che, per la prima volta, ha indagato il fenomeno dell’afrofobia in Italia, considerando tre diversi ambiti di interesse: la sanità, l’educazione e la comunicazione. L’indagine è stata svolta in collaborazione con l’associazione Carta di Roma, proprio nell’ambito del progetto CHAMPS. I dati raccolti, sono stati pubblicati alla fine del 2022 nel dossier Lo Sguardo Tagliente – Conoscenza, consapevolezza e percezione dell’afrofobia e del razzismo sistemico nei settori di sanità, istruzione e comunicazione.
Inoltre, è possibile mettere in relazione i dati che emergono nel contesto italiano con il panorama europeo. Infatti, molte ricerche sul razzismo e sulle discriminazioni hanno raccolto e analizzato dati in diversi paesi, inclusa l’Italia. Per esempio, la FRA (European Union Agency for Fundamental Rights) ha realizzato il sondaggio EU MIDIS II sulla discriminazione delle minoranze in Europa. Dal sondaggio è emerso che i paesi in cui le persone di origine africana (in particolare Africa subsahariana) si sentono maggiormente discriminate sono il Lussemburgo e la Finlandia. In Italia, si registra un tasso generale di discriminazione percepita inferiore alla media europea. Inoltre, nel report Being Black in the EU, incentrato sull’esperienza delle persone nere che si confrontano quotidianamente con il razzismo, sono inclusi dati relativi al contesto italiano. Queste ricerca ha evidenziato che in Italia le persone nere subiscono discriminazioni soprattutto durante la ricerca della casa e del lavoro. In questi specifici ambiti, i dati sul razzismo percepito in Italia hanno tra le percentuali più elevate in Europa.
YD & GL: Dal momento che hai seguito dall’interno lo svolgimento del progetto CHAMPS, puoi dirci qualcosa di più sul dietro le quinte? Chi sono e come avete scelto le persone coinvolte nel progetto? Quale può essere il loro ruolo nel contrasto di atteggiamenti afro-fobici?
I protagonisti del progetto sono giovani studenti e professionisti africani e afrodiscendenti che vivono in Italia. L’unico requisito per partecipare alla selezione dei partecipanti riguardava l’età, compresa tra i 18 e i 35 anni. Dopo aver ricevuto diverse candidature e aver effettuato una selezione, è stato formato un gruppo di lavoro di venticinque persone, equilibrato tanto rispetto al genere che alla professione dei partecipanti. Il gruppo, chiamato A.F.A.R. (Afrodescendants Fighting Against Racism), è stato costituito per dare vita a uno spazio dove questi giovani possono condividere conoscenze, competenze e strategie per la lotta contro il razzismo, a partire dalle proprie esperienze individuali e/o collettive.
Il progetto CHAMPS ha l’obiettivo di contrastare l’afrofobia negli stessi ambiti individuati dallo studio dell’Osservatorio di Pavia, la presenza tra gli A.F.A.R di persone che lavorano proprio in questi campi si è rivelata molto utile. Infatti, ha permesso lo sviluppo di un’ulteriore consapevolezza sulle specificità del razzismo in ambito sanitario, educativo e della comunicazione e ha favorito la condivisione di informazioni specifiche all’interno del gruppo.
YD & GL: Quali sono gli strumenti di contrasto all’afrofobia sviluppati nell’ambito del progetto CHAMPS? Per quale tipo di pubblico sono stati pensati?
Tra gli strumenti ideati vi è un podcast, intitolato Get Under My Skin. È strutturato in sette puntate, ognuna delle quali approfondisce tematiche trasversali al razzismo anti-nero. L’obiettivo generale del podcast è condividere conoscenze, spunti di riflessioni e invitare al dialogo. Inoltre, abbiamo costruito un percorso di auto-formazione, e dei Toolkit. Immaginati come una “cassetta degli attrezzi” dove trovare strumenti teorici e pratici da applicare a scuola o sul lavoro per promuovere un’effettiva sensibilizzazione su questo tema.
Tutto il progetto è accompagnato da una campagna di comunicazione e di disseminazione per raggiungere un’audience larga. È importante ricordare quanto in questa operazione sia stato importante dare una grande attenzione al linguaggio per contribuire alla diffusione di termini appropriati. Dal momento che ci siamo confrontati con un pubblico variegato, abbiamo pensato di elaborare materiali differenziati, fruibili da persone di varie fasce di età e con diversi livelli di conoscenza del fenomeno, associando ogni tipo di prodotto alla corrispondente fetta di audience.
Il progetto si rivolge da un lato alle persone afrodiscendenti e africane che possono conoscere meglio i fenomeni con cui si confrontano quotidianamente, dall’altro anche ad altre persone che conoscono parzialmente o che non conoscono l’afrofobia e razzismo anti-nero. Non è affatto scontato che chi subisce il razzismo ne conosca tutti gli aspetti e le strategie per contrastarlo. Anche io stessa, dieci anni fa, non avevo gli stessi strumenti che ho adesso per affrontare la complessità dell’afrofobia. Dall’altro, questi strumenti possono servire a chi non subisce direttamente la discriminazione a come essere alleati della lotta. Attraverso gli strumenti messi a punto, queste persone possono essere coinvolte e incoraggiate ad aumentare la propria consapevolezza attorno a questo fenomeno.
YD & GL: Come è stata l’interazione tra persone razzializzate e le persone bianche che venivano a contatto con il progetto?
La diffusione del progetto passa attraverso un ampio uso dei video e dei social network, per raggiungere un pubblico più ampio possibile. Inoltre, questi strumenti sono funzionali anche a un altro obiettivo del gruppo, ovvero normalizzare la presenza dei corpi neri nei video e dei media. In Italia, non siamo abituati a vedere molte persone nere sui nostri schermi. Tuttavia, una maggiore rappresentazione mediatica, se positiva, può essere un efficace strumento per combattere i pregiudizi.
Il fatto che i video e i materiali del progetto siano a disposizione di tutti comporta la necessità di confrontarsi con molteplici reazioni, tra cui anche i commenti negativi. Per esempio, molti hanno sostenuto l’inesistenza dell’afrofobia. Altri hanno sminuito le esperienze condivise dai partecipanti facendo riferimento a un presunto eccessivo vittimismo. Questo tipo di reazioni, espresse da parte di alcune persone non razzializzate, non è stata una sorpresa: quando non si vive il problema, è facile mettere in discussione le esperienze altrui. Fortunatamente, però, non ci sono state solo reazioni negative. Abbiamo riscontrato una risposta molto positiva dal pubblico afrodiscendente. Numerosi giovani afrodiscendenti si sono approcciati al nostro progetto, tirando un sospiro di sollievo, dandoci conferma del fatto che ci fosse bisogno di questo lavoro.
Ritengo che sia molto importante strutturare alleanze perché consentono di lavorare a progetti più ampi e possono essere d’aiuto nel reperimento dei fondi necessari per realizzarli.
Da quando è stato possibile organizzare nuovamente incontri in presenza, sono aumentate anche per gli A.F.A.R. le opportunità di stabilire nuove relazioni e di partecipare a processi di coalition building. Abbiamo stipulato in primo luogo alleanze territoriali, inoltre, grazie al supporto del partenariato, composto da diverse associazioni che operano sul territorio nazionale, tra cui l’Razzismo Brutta Storia il festival DiverCity, abbiamo avuto la possibilità di costruire sinergie con altre progettualità, coinvolgendo e connettendo territori differenti. Il progetto, iniziato due anni fa, si concluderà nell’estate 2023. Sono previsti altri incontri per le attività finali di progetto, ma non solo.
YD & GL: Quali sono le parole che occorrono per contrastare il razzismo?
Credo che ci siano forse anche troppe parole per parlare di razzismo. È necessaria una riflessione approfondita sul lessico, poiché esso svolge un ruolo fondamentale nella costruzione della discriminazione, ma anche nel suo contrasto. A questo proposito all’interno del progetto CHAMPS è stato dedicato ampio spazio al linguaggio, ai suoi usi e alle sue conseguenze. La prima puntata del podcast Get under my Skin– Cercasi parole nuove! Come arricchire le riflessioni sulla nerezza attraverso le parole non discriminanti– è stata dedicata proprio a questo argomento di riflessione sui termini per definire la nerezza e non solo, termini che autodefiniscono e trovano riscontro anche nella ricerca della propria identità.
Ritengo, però, che più che la ricerca di nuove parole e di termini tecnici, sia fondamentale riflettere sulle parole di tutti i giorni. Per fare un esempio, penso che sia meglio utilizzare il termine “nero” piuttosto che “di colore”. Il termine “di colore”, nel contesto italiano rimanda direttamente a pensare alle persone nere, mentre il “colore” in quanto tale dovrebbe rimandare a tanto altro. Invece, questa espressione è utilizzata perché si pensa che “nero” sia un termine offensivo, quando non è assolutamente così. Ascoltando il podcast ed esplorando i vari materiali sarà intuitivo capire la complessità di questi passaggi, ma anche quanto sia giusto utilizzarli. Penso che sia sempre necessaria un’azione critica per trovare un linguaggio adeguato.
Per approfondire
Progetto CHAMPS https://stop-afrofobia.org/
Podcast Get Under My Skin https://anchor.fm/stop-afrofobia
Report e ricerche
Being Black in EU https://fra.europa.eu/en/publication/2018/being-black-eu
Dossier Lo Sguardo Tagliente – Conoscenza, consapevolezza e percezione dell’afrofobia e del razzismo sistemico nei settori di sanità, istruzione e comunicazione https://www.osservatorio.it/dossier-lo-sguardo-tagliente-conoscenza-consapevolezza-e-percezione-dellafrofobia-e-del-razzismo-sistemico-nei-settori-di-sanita-istruzione-e-comunicazione/
EU MIDIS II https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/eumidis-ii-survey-questionnaire_en.pdf