Di Giovanna Zincone. Versione integrale di quella pubblicata sul supplemento “speciale immigrazione” de La Stampa del 21 ottobre 2014
In Europa, e non solo, l’immigrazione è una patata bollente, ma non scotta dovunque allo stesso modo. I sondaggi effettuati negli anni della crisi economica, dal 2008 in poi, ci dicono che l’insofferenza tra le opinioni pubbliche europee non cresce con ritmi ugualmente preoccupanti, non è omogenea su tutti gli aspetti della questione, e convive con un’ampia accettazione degli immigrati regolari. Cito i dati di una ricerca demoscopica (Transatlantic Trends) che include, oltre a vari paesi europei, anche USA e Canada. Rispetto alla accettazione di una immigrazione stabile si rileva una flessione dei favorevoli nell’Europa latina (Francia, Italia e Spagna), ma un loro lieve aumento in Germania e Olanda. In tutti i paesi l’accettazione dell’immigrazione stabile supera il 50%; nel Regno Unito, però, solo di poco. E qui comincia a profilarsi una peculiare preoccupazione dei britannici, molto scettici sull’integrazione, in particolare degli adulti. Del resto, diciamo la verità, qualche ragione di preoccupazione c’è: attentati, rivolte, recenti anche se marginali adesioni all’ISIS. Tuttavia il dato più interessante che emerge da questo come da altri sondaggi è la perdita di rilevanza dell’immigrazione come problema prioritario. Chi presenta i dati parla addirittura di “eclissi della crisi migratoria”. Il termine eclissi mi sembra particolarmente appropriato: il problema immigrazione scotta sempre, ma è oscurato (almeno per ora) da altre più gravi preoccupazioni.
Secondo Eurobarometro, strumento ufficiale di analisi dell’opinione pubblica della Commissione Europea, tra i problemi percepiti come più gravi dai cittadini dell’Unione l’immigrazione nella primavera 2014 era quasi un fanalino di coda, penultima. In testa troviamo il costo della vita: anche in una fase deflattiva la vita appare più cara a chi ha meno mezzi o teme per il suo reddito. Seguono poi la disoccupazione, le tasse, la situazione economica, le pensioni, e solo a questo punto troviamo l’immigrazione. Insomma, la crisi morde, ma non sono gli immigrati i protagonisti negativi di quel film. D’altra parte, l’Unione Europea perde diversi punti come personaggio positivo, come produttrice di vantaggi. Anche in Italia, paese tradizionalmente molto europeista, il 36% degli intervistati pensa che l’UE non sia un buon affare. Ovviamente gli scettici raggiungono le percentuali più alte in Grecia (42%) e in Gran Bretagna (40%), che sono anche i paesi nei quali le pulsioni anti EU possono trovare un forte e pericoloso sbocco politico. Quanto ai timori e alle ostilità nei confronti degli immigrati, questi diventano davvero rilevanti se si possono innestare su altri pesanti paure e insofferenze, se possono allinearsi a quei pianeti che hanno oscurato, ma certo non spento le pulsioni negative nei confronti delle immigrazioni. Ci sono già politici capaci e vogliosi di compiere l’innesto. In Danimarca e Gran Bretagna gli innestatori erano facilitati. Questi stati hanno aderito all’Unione Europea un po’ alla carta: sono fuori dall’Euro (l’UK anche da Schengen), sono riusciti a svicolare, volendo, dalle politiche migratorie UE. Con il consueto gioco dei birilli, per non farsi spiazzare nelle urne i conservatori imitano la destra radicale. Cameron dichiara di voler mettere una quota massima al rilascio del codice fiscale e di sicurezza sociale per gli stranieri, per bloccare così i troppo numerosi comunitari che vengono non solo dall’Europa dell’Est, ma anche del Sud. Portogallo e Spagna hanno ormai un saldo migratorio negativo, e frotte di giovani italiani muovono su Londra.
La crisi economica, il timore del terrorismo, la paura del cambiamento stanno producendo arroccamenti, propensioni degli stati a chiudersi nei propri veri o presunti interessi nazionali. Continuano a stimolare le regioni più ricche verso una maggiore autonomia, ma anche i paesi in maggiore difficoltà a cercare armi improprie. Se da una parte la situazione genera o rafforza formazioni di destra, può anche fornire un efficace propellente per fughe a sinistra. In Grecia, il successo di Alba Dorata, alimentato dal connubio tra crisi e xenofobia, è stato bloccato dai suoi stessi eccessi, non è improbabile che a vincere le prossime elezioni politiche sia Tsipras. Qui l’immigrazione giocherebbe marginale rispetto alla volontà di non rispettare i vincoli europei: il nuovo governo potrebbe varare misure economiche tali da farlo espellere dall’Unione. Se poi in Gran Bretagna sfondasse l’Ukip di Farage, l’Unione si troverebbe lacerata da una doppia trazione. La Grecia, con un debole apparato produttivo, importatrice di beni necessari, ne uscirebbe distrutta, ma anche la Gran Bretagna, così dipendente dal settore finanziario, non avrebbe vita rosea. Ma queste scosse sarebbero sostenibili dalla già frammentata compagine europea? Non date poi la colpa agli immigrati.