di Eleonora Castagnone
Il ricorso al lavoro immigrato da parte delle imprese italiane è un fenomeno di proporzioni e caratteristiche ormai strutturali, divenuto un elemento irrinunciabile per il funzionamento del tessuto economico italiano. Il peso della componente straniera sul totale dei lavoratori in Italia è aumentato costantemente in particolare nell’ultimo decennio, raggiungendo a fine 2011 i 2,5 milioni, cioè un decimo dell’occupazione totale.
Perché gli immigrati sono diventati sempre più numerosi e decisivi nei diversi settori dell’economia italiana? E più nello specifico, quali fattori hanno indotto le aziende italiane a rivolgersi sempre più ai lavoratori stranieri? La ricerca “Non solo braccia” condotta da FIERI in collaborazione con la Camera di Commercio di Torino nel corso del 2012, ha interrogato il fenomeno del crescente ruolo del lavoro straniero nell’economia italiana dalla prospettiva degli imprenditori stessi.
Il declino demografico fornisce infatti una spiegazione solo parziale all’insufficiente offerta di lavoratori nazionali. Ancor prima che non reperibili sul mercato del lavoro, i lavoratori italiani si dimostrano sempre meno propensi ad accettare le condizioni di lavoro imposte da certi impieghi, e in particolare a svolgere lavori poco retribuiti, che richiedano sacrifici in termini di condizioni, orari e di tempi di lavoro faticosi, affatto o poco qualificati, umili o ritenuti socialmente poco prestigiosi o simbolicamente de-valorizzati. Tuttavia, pur in presenza di un evidente fenomeno strutturale di sostituzione (cioè di un deficit di offerta nativa, alla quale ne subentra una immigrata) la forza lavoro straniera sembra offrire in molti casi anche vantaggi competitivi, almeno di tre tipi.